partecipo al progetto

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ibridamenti.splinder.com

sabato 23 giugno 2007

pride, in the name of love
























(La musica di "The power of love" dei Frankie goes to Hollywood ci sta benissimo, a mio avviso, come lettura musical sentimentale di queste foto)

che fatica scrivere

Che fatica scrivere, inserire minuscole tessere in un quadro grossolanamente tracciato e che prende lentamente forma, ogni tesserina nella sua collocazione esatta, e tenere a mente tutti gli autori che si sono pronunciati su un concetto come cosmopolitismo o ibridazione, e le diverse accezioni dei concetti, e le possibili implicazioni delle loro affermazioni, e le posizioni degli attori rispetto alle enunciazioni teoriche, cercando di non tralasciare nulla, o perlomeno nulla che sia indispensabile alla trama del disegno tracciato: tessere la trama, ogni tanto scucirla, tagliare, incollare, ricamare. Sto leggendo "Metafora e vita quotidiana" di Lakoff e Johnsons e in questo momento sono quindi estremamente consapevole della connotazione metaforica delle frasi usate per descrivere i concetti: scrittura come mosaico, come stoffa, come disegno, forma in tutti i casi, edificio, struttura in altri. Senza passare per questi termini eideticamente evocativi il nostro pensiero incontrerebbe dei limiti, non arriverebbe a concepire. L'esempio da loro usato della metafora di idee come oggetti e di espressioni linguistiche come contenitori mi sembrano però riduttive e superate, ce ne sono molte altre che costituiscono modelli cognitivi più raffinati, aiutano a "vedere" meglio in cosa consiste il processo creativo che avviene attraverso la scrittura, imbevuta di una visione estetica e talora poetica. E il corpo, i muscoli tesi allo spasimo, la mente tesa allo stesso tempo come un arciere che punta il suo arco sul bersaglio e la freccia che deve andare dritta al punto? E le idee, il testo come un cibo che lievita, come un materiale che va lavorato o impastato? La complessità di una simile attività si può rendere solo con un arazzo di metafore. O con un racconto. Mi ricordo di quando ero piccolissima, e i miei cugini un po' più grandi di me a Ischia, per insegnarmi a colorare bene le immagini, o forse per quel sadismo che è tipico dei cugini più grandi, coloravano le figure lasciandovi dei buchi, e mi chiedevano di colmare alla perfezione quei buchi. Ecco, spesso scrivere me lo raffiguro così, colorare una figura e poi riempire dei buchi. Che poi è metafora ben appropriata per un testo concettuale. Bisogna rafforzarlo, suturare i suoi punti vulnerabili (altre metafore).

giovedì 21 giugno 2007

tortellini a bombay

Tunisi è una città piccola, dove puoi incontrare facilmente le persone che conosci, i membri dell'élite intellettuale e delle comunità straniere, vi è fitta circolazione di persone, e le amicizie nascono e si ramificano come un lussureggiante ventaglio. Tunisi è una città grande, un portale di gente di passaggio, ricercatori da tutto il mondo, studenti africani, arabofili che studiano la fusha al Bourguiba, membri di organizzazioni internazionali, lavoratori in continua dislocazione. I tavoli di caffè e ristoranti sono frontiere puntiformi e mutevoli.
E così, entrando in un ristorante della Goulette, una sera, dove si cucina la pasta al dente, ci trovi di passaggio l'ambasciatore italiano in carica, il suo successore e il segretario politico. E ti siedi al tavolo con un altro addetto dell'ambasciata, che parla con accento romanesco marcato, con una ricercatrice di diritto all'università, con A. e con Max, che si rincontrano qui dopo cinque anni, quando si frequentavano a Bangalore, in India. A., siciliano, costruisce reti cellulari, e dopo aver esaurito l'Italia va in giro per il mondo, su incarichi che gli trova il suo agente. Max ha lavorato per alcuni anni in Tunisia come cuoco, dove si è sposato, poi ha accettato un incarico in India. Ora lavora al ristorante "Olive" di Bombay, una catena di ristoranti italiani di prestigio. E' un po' tarchiato e spettinato Max, il corpo rilasciato con noncuranza,la polo spiegazzata e aperta in modo casuale. Io mi dedico a lui e sto ad ascoltarlo, sollecitandolo con qualche domanda, e lui comincia a raccontare senza fermarsi. A raccontare, con accento romagnolo, del suo ristorante con centocinquanta persone di servizio per servire fino a settecento coperti a sera, della mozzarella prodotta in India, dell'orto in cui fa coltivare ogni varietà di erbe ed insalate, della salsiccia al finocchietto, della pasta fresca prodotta a comando dal suo staff di trenta persone.
Max più che sperimentare predilige solidi piatti e cibi tradizionali ma di qualità impeccabile. Ascolto Max evocare, con ampi ed eloquenti gesti della mano, le cascate di prosciutti (bisogna pensare questa frase con accento romagnolo), gli affettati, la bresaola in quantità copiose, mentre le guance gli si fanno ancora più lucide dal piacere, la fonetica dà il senso dell'abbondanza, il gesto di ruscelli di cibo. Max mi racconta di una festa data dal principe del Rajahstan per centocinquanta persone, a molte delle quali è stato pagato il biglietto aereo, e anche lì inondazioni di prosciutti, come gli si riempie la bocca a dirlo. Sua figlia, mi dice Max, parla italiano e inglese e hindi e tunisino, ed è la prediletta di una delle più note star bollywoodiane, frequentatrici abituali del ristorante "Olive".
Stasera A. celebra la sua ultima sera a Tunisi, domani partirà per l'Argentina. E' uno a cui piacciono le donne, A., le ama tutte o quasi, lo capisci da come ti abbraccia mentre si fa la foto ricordo con te, da come ti pizzica la guancia, pur mentre sta flirtando con la sua ragazza del momento che probabilmente non vedrà più. In macchina, mentre ci riaccompagnano verso l'albergo, la moglie di Max gli dice ridendo, "a te piace trombare", facendomi sussultare perché conosco l'abituale riservatezza delle donne tunisine in pubblico. Un nuovo mondo, penso, è racchiuso in quella donna. Prometto che cercherò di andarli a trovare a Bombay, e mi chiedo quando e dove A. e Max si rincontreranno. Qualche giorno fa ho cercato in rete tracce di Max. Le notizie sul ristorante erano molto succinte, ma poi ho trovato una sua foto, in divisa da chef attorniato dai suoi clienti indiani, ho ricomposto quella parte di mondo in cui ora vive, e mi sono commossa. Ma non troverete in rete la storia di Max, di sua moglie e della sua privilegiata figlia, e dei suoi incontri con A., questa storia incredibile di incroci e traiettorie e cosmopolitismi. Né la troverete nei romanzi indiani imbanditi di agnelli rogan josh, pakora, samosa, palak paneer, pane chapati o naan, goolab jamun. La troverete solo nelle persone come me che l'hanno raccolta, e a me fa piacere raccontarla qui.
(foto: antipasti tunisini di quella sera, di cui non rimangono che codeste vestigia in pixel; musica, indiana of course, Ustad Allah Rakha e Zakir Hussain, poi Ravi Shankar, prediletti tra queste quattro mura).

mercoledì 20 giugno 2007

an object beyond one's own life



I know these islands from Monos to Nassau,
a rusty head sailor with sea green eyes
that they nickname Sabine, the patois for
any red nigger, and I, Shabine, saw
when these slums of empire was paradise.
I'm just a red nigger who love the sea,
I had a sound colonial education,
I have Dutch, nigger and English in me, and either I'm nobody, or I'm a nation.




Conosco queste isole da Monos a Nassau,
marinaio con la testa ruggine e occhi verdemare
che chiamano Shabine, il soprannome patois
per ogni negro rosso; e io, Shabine, ho visto
questi bassifondi d'impero quando
erano paradiso.
Io sono solamente un negro rosso che ama il mare,
ho avuto una buona educazione coloniale
ho in me dell'olandese, del negro e dell'inglese,
sono nessuno, o sono una nazione.

(The schooner Flight, La goletta Flight, da Mappa del nuovo Mondo, Adelphi).

martedì 19 giugno 2007

sì, cucinare...

Oggi festeggio. Festeggio la prima volta, dopo circa un anno, o forse più, che cucino per degli amici. E quando dico cucino, intendo dire che mi metto ad abbinare pietanze, scegliere menu, sperimentare sapori, combinazioni, dosi, miscelature, gesti nuovi. E' così che intendo l'ospitalità, come un regalo personale e su misura tradotto in sapore.
Non sono una cuoca. Altri sono cuochi, coloro che sanno preparare una pasta sfoglia o la pasta per i cannoli, torte di frutti secchi, parmigiane di melanzane dolci e gelatine al pino. Io mi metto nella categoria del gesto abile, della ricetta assimilata e reinventata. Quella che in arabo tunisino è chiamata sannafa, una donna che fa cose con destrezza. E il verbo, sannafa/ysannafu, indica tanto lo scrivere quanto il cucinare. Mi piace pensare queste due attività come affini in quanto mie entrambe, anche se poi di forme di creatività ce ne sono tante altre. Mi piace perché riabilita l'arte del cucinare, ponendola al livello stesso della scrittura, e scrivere in arabo classico è certo un'abilità che richiede molta, molta perizia e apprendimento, trattandosi di una lingua non quotidiana. Il susseguirsi dei gesti precisi e attenti, l'assoluta attenzione al fare e il coordinamento delle azioni creano in me uno stato di vuoto mentale, che lava via ogni pensiero e stanchezza.
Il menu che ho pensato per oggi è questo, cercando di abbinare sapori delicati: un antipasto di sorbetto di pomodoro, innaffiato di vino bianco e con pepe, zenzero e due chiodi di noce di garofano; penne al pesto di pistacchio di Bronte, ricotta guarnita di marmellata al limone e coriandolo, melanzane a beccafico, sontuosamente ammantate di uva passa, pinoli e pangrattato, piccole carote all'erba cipollina e aceto di datteri, gelo di fragole, che poi sarebbe una via di mezzo tra un sorbetto e un gelato, privo di latte. Come sarà meglio brindare, con del moscato di Kelibia un po' maturo o dello Shiraz yellow tail australiano?
Non tutti i miei ospiti/cavie gradiscono le mie sperimentazioni: ricordo sguardi tra l'imbarazzato e l'inorridito di alcuni miei ospiti davanti ad una omelette confiture dalla consistenza di un materasso. Ma la serata peggiore è stata quando ho preparato per un mio amico, storico tunisino, pasta alla bottarga ben al dente, pesce persico ricoperto di bacche di pepe trito al mortaio, pecorino con mostarda d'uva. I tunisini mangiano la pasta collosa, questo in particolare era l'unico tunisino che odia il piccante, e infine guardava il sublime mosto d'uva, comprato a Genova, come un nemico pericoloso.
In quanto a voi, miei lettori, siete sollecitamente invitati a dare un vostro parere sul menu. E dico sincero perché potrebbe darsi il caso che in quel di luglio si decida di imbandire un desco per bloggers di ogni tipo: bloggers scissi, multipli, obliqui, single, bini e trini, cripto, eso ed endobloggers, bloggers in crisi mistica, d'identità, di nervi, di astinenza, esistenziale, in crisi di crisi, critici e in crisi di critica, con o senza amici immaginari, da portare in quantità moderata. Quindi chi voterà con doppia lingua pagherà il fio della sua colpa... quando ho snocciolato il menu al mio collega oggi, lui mi ha detto, ritraendo tutto il suo volto in una smorfia concava e con tono incrinato, ma PERCHE' cucini queste cose?
(sottofondo musicale: Ray Lema, Live at café de la danse in Paris piano solo,una musica che per me è legata all'energia, all'amore e al calore contagiosi di questo musicista, di cui ho stretto le grandi mani, una sera, alla Cattedrale di Saint Louis a Cartagine, dopo che lui e Odette si erano parlati in lingalà. Ma questa è un'altra storia...).

(la foto è dedicata ad Oyrad, la prendesse e ne facesse quel che vuole, perché se aspetta che arrivo a saperle mettere nei commenti le foto siamo freschi, nel senso che si fa Natale).

film à ne pas rater

  • Come l'ombra, Marina Spada
  • el-Jenna alan, Paradise now, Hany Abu-Assad
  • Il segreto di Esma, Jasmila Zbanic
  • Inland Empire, David Lynch
  • La vita segreta delle parole, Isabelle Coixet
  • Mille miglia lontano, Zhang Ymou
  • Rosetta, Jean-Pierre e Luc Dardenne

letture

  • Amitav Ghosh, circostanze incendiarie, Neri Pozza
  • Aminatta Forna, Le pietre degli avi, Feltrinelli
  • Studio Azzurro. Videoambienti, ambienti sensibili
  • Rick Moody, I rabdomanti, Bompiani
  • Claire Castillon, Veleno, Bompiani
  • Werewere Liking, La memoria amputata, BCD editore
  • Antonio Pascale, La manutenzione degli affetti, Einaudi
  • Simon Ings, Il peso dei numeri, Il Saggiatore

ascolti dalla a alla zebda

  • Aida Nadeem, Out of Baghdad
  • Alessandro Scarlatti, Giovanni Bononcini, "Andate, o miei sospiri"
  • Amine e Hamza M'Rahi, Asfar
  • David Sylvian, Nine horses
  • David Sylvian, tutto
  • Diego Ortiz, Ad Vesperas, Cantar Lontano
  • Domenico Gabrielli, Opera completa per violoncello
  • Emanuela Galli, Gabriele Palomba, Franco Pavan, Languir me fault
  • Eric Truffaz, Mounir Trudi, Face-à-face
  • François Couperin, Leçons de Ténèbres
  • Gianmaria Testa, Extra-muros
  • Henry Purcell, Fantazias, Rose Consort of viols
  • Hildegard von Bingen, Canti estatici
  • J.S. Bach, Soprano Cantatas, Cappella Istropolitana
  • Japan, tutto
  • Marc Antoine Charpentier, Salve Regina
  • Marin Marais, Pièces à deux violes 1686
  • Mario Biondi (essì, Mario Biondi)
  • Paolo Conte, Elegia
  • Ray Lema, Mizila
  • Rose consort of viols, Elizabethan songs and consort music
  • Sonia M'Barek, Tawchih
  • Vengeance du rap tunisien
  • Violent femmes, Violent femmes (purissima goduria)
  • Zebda, Essence ordinaire

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