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sabato 10 marzo 2007

The namesake


Namesake significa omonimo. E' il titolo di un romanzo di Jumpa Lahiri trasformato in film da Mira Nair, una storia di nomi dalla profonda valenza metaforica che si intrecciano con destini in-between. La prima scena mostra un giovane studente indiano, Ashok Ganguli, che legge in treno una raccolta di racconti di Gogol, convinto che la letteratura sia un modo di viaggiare, ma il suo compagno di scompartimento lo esorta a sperimentare il viaggio sulla sua pelle, prima che il treno abbia uno scossone. Cambio di scena, e ritroviamo il giovane studente divenuto insegnante negli Stati Uniti, e convenuto a un incontro combinato dai genitori con la bella Ashima, che prima di vederlo prova le sue scarpe inglesi lasciate sulla soglia, quasi a volersi mettere nella sua pelle. E giungono per Ashima il trasferimento negli Usa, il freddo, la solitudine, il disorientamento, il primo figlio. In India si usa prima dare un soprannome al bambino per qualche anno, poi un nome definitivo, ma le esigenze amministrative portano a imporgli un nome in tutta fretta. Il padre decide per Gogol. Poi nasce Sonia, la cui personalità futura verrà indicata da uno degli oggetti posti su di un vassoio che lei sceglierà. Il salto generazionale è profondo, i figli della coppia divenuti adolescenti si sentono americani e mal si adattano a un primo viaggio in India dopo molti anni. Gogol comincia a detestare il suo nome che suona caricaturale agli occhi altrui, e assume quello di Nikhil. Diviene architetto, instaura una relazione con una bella e bionda Wasp, la cui madre è addetta ai tessuti del Moma. Sonia va in California, e i genitori, smarriti da questa distanza fisica ed emotiva con i figli a cui non sono abituati, restano soli. Fino al giorno in cui Ashok, trasferitosi a Cleveland per un semestre di insegnamento, non muore improvvisamente per un infarto, e a Gogol, nei dintorni a passare le vacanze con Maxine, tocca andare a riconoscerlo. La scena in cui Gogol entra nel piccolo e freddo appartamento del padre è una delle più toccanti del film. Vedendo le sue scarpe, lo immagina nell'atto di infilarle. Entra nella stanza da letto e trova ancora l'impronta fresca del corpo del padre sul lenzuolo, le coperte scostate. Questo evento lo porta a riavvicinarsi alle sue origini, e a caricarsi del compito di assumere il lutto e andare a celebrare il funerale di Ashok in India. Le incomprensioni con Maxine, per la quale il rapporto di coppia è centrale e che non comprende il bisogno di Gogol di vicinanza con la famiglia, portano a rompere il rapporto. Gogol finirà per sposare Moushumi, preferita dalla madre, ma non è così semplice tornare alle tradizioni di famiglia. Moushumi, che ha avuto un'intensa esperienza di vita in Francia, si rivelerà insofferente al legame, terrorizzata dall'idea di vivere in un mondo cintato e limitato, e riallaccerà una storia con un amante francese. Gogol, ritornato libero, comincerà a esplorare se stesso attraverso il viaggio, riconducendosi in questo modo all'eredità simbolica consegnatagli dal padre, che scampato ad un disastroso incidente ferroviario aveva deciso di conoscere nuovi mondi. Il personaggio più bello è la delicata Ashima, che esprime i suoi sentimenti senza mai dirli, che deve tessere difficili connessioni tra ciò che ha alle spalle e ciò che affronta negli Stati Uniti, far fronte alla solitudine. Anche il suo nome, che significa "senza limiti", è una metafora del suo percorso di vita. Deciderà di vivere metà dell'anno presso i figli in America (Sonia ha sposato un americano) e metà in India, dove riprenderà a cantare.
L'ultima inquadratura la mostra in India mentre intona una melodia acuta e toccante, i capelli sciolti e il volto sereno. Mira Nair è riuscita a rendere nel film, che ai miei occhi è il suo più bello, complesso e riuscito, la pacatezza, la delicatezza e la discrezione dello stile narrativo di Jumpa Lahiri. E non a caso è proprio la finezza della storia a dare corpo al film. Che va visto con il sonoro originale, un continuo switching tra hindi e l'inglese indiano dalla pronuncia nasale. La metafora sottesa al film, quella della vita come viaggio iniziatico, mediazione tra mondi, oltrepassamento dei confini, e viaggio reale che apporta ricompense meritevoli dei sacrifici sostenuti, è trasmutata in vite complesse e non facili, ma che portano a vivere in spazi s-confinati.

venerdì 9 marzo 2007

a marzo spuntano i film

A marzo Milano si ammanta di film. Uno dei rari pregi di questa città è l'ottima qualità delle programmazioni delle sue cineteche, a cui si aggiunge quella del Centre culturel Français, concepita dall'ottimo Cesare Vergati. Per cui nelle prossime settimane sono previste indigestioni cinematografiche di film veramente difficili da vedere altrimenti. A partire da ieri ho cominciato a recuperare quel che potevo del festival Sguardi altrove, cinema fatto da donne e organizzato da un'associazione con il medesimo nome. Sono andata a vedere "Hope and a little sugar" di Tanuja Chandra, che era anche presente lì, un'aria da persona normale, a dialogare con il pubblico, una cosa che mi piace tanto.
Tanuja Chandra ha trasferito una Bollywood in formato ridotto a New York. Il film dura solo due ore e invece che i classici siparietti di canzoni ce ne sono solo alcuni, piacevolissimi, di banghra. Il conflitto religioso indiano è trasportato a New York, all'ombra dell'undici settembre. Protagonisti sono il giovane fotografo musulmano 'Ali Sadiqi (cognome rassicurante, che, guarda caso, significa amico mio. Diki diki, anti sadiqi, recita una canzoncina tunisina che ho mandato a memoria) e una famiglia di sikh, composta dal patriarcale e imponente colonnello Oberoi, con in testa il classico turbante, il figlio Harry, capello lungo ma niente turbante (e niente male, anche), e la bella Saloni, che si è aperta un negozio di dolci squisiti, pieno di colori e di fiori, che è una metafora della sua stessa personalità. Ali, che da piccolo ha vissuto la violenza degli scontri religiosi, riesce ad entrare in amicizia intima con questa famiglia, ma un brutto giorno dal suo loft può vedere l'impatto degli aerei sulle Twin Towers, là dove lavorava Harry, proprio all'ottantacinquesimo piano, dove l'aereo ha avuto l'impatto. Cela va sans dire, chi erano le persone veramente colpite quel giorno, tutti Wasp? La violenza è cieca e non guarda dove colpisce. Segue il terribile periodo della confusione e del lutto, con il padre che non vuole accettare la verità della scomparsa del figlio, il cui corpo non si ritrova, e comincia a odiare 'Ali il cui rapporto con Saloni si fa sempre più stretto, a partire da un'attrazione repressa quando il marito era ancora vivo. E' resa molto bene la dinamica dell'odio che nasce da passati conflitti vissuti in condizioni da vittima. La violenza del colonnello risveglia quella di 'Ali, che da piccolo, come si vede in un flashback molto ben riuscito che appare parzialmente all'inizio del film e si svela del tutto solo alla fine, aveva perso il fratellino proprio in uno scontro interreligioso. Tutto sembra avviarsi verso un confronto tragico, quando 'Ali e il colonnello si armano entrambi per scontrarsi, ma caso vuole che quest'ultimo venga assalito e pesantemente malmenato da un drappello di razzisti bianchi, mentre il primo decide di rigettare una violenza che non vuole gli appartenga. Il film finisce a tarallucci e vino con riappacificazione generale, genitori di Harry che ritornano in India, Saloni e 'Ali che formano una bella coppia al di là di ogni pregiudizio. Molto diplomaticamente gli induisti non sono proprio chiamati in causa da questa storia, che è un gradevole polpettone che ci ricorda anche di quante componenti diverse sia fatta l'America di oggi e ha il pregio di mostrarcene alcune. Persone il cui linguaggio slitta continuamente tra inglese e hindi, che vestono all'Occidentale e in sari e salwar kameez. Non so perché, ma i polpettoni indiani, scritti e visivi li adoro, forse perché rappresentano la postmodernità in modo semplice e allo stesso tempo nella complessità delle sue articolazioni, se le si sa cogliere. Film riuscito perché coniuga una buona sceneggiatura di tipo americano a una storia indiana, mi suggerisce qualcuno da un'altra stanza.

film à ne pas rater

  • Come l'ombra, Marina Spada
  • el-Jenna alan, Paradise now, Hany Abu-Assad
  • Il segreto di Esma, Jasmila Zbanic
  • Inland Empire, David Lynch
  • La vita segreta delle parole, Isabelle Coixet
  • Mille miglia lontano, Zhang Ymou
  • Rosetta, Jean-Pierre e Luc Dardenne

letture

  • Amitav Ghosh, circostanze incendiarie, Neri Pozza
  • Aminatta Forna, Le pietre degli avi, Feltrinelli
  • Studio Azzurro. Videoambienti, ambienti sensibili
  • Rick Moody, I rabdomanti, Bompiani
  • Claire Castillon, Veleno, Bompiani
  • Werewere Liking, La memoria amputata, BCD editore
  • Antonio Pascale, La manutenzione degli affetti, Einaudi
  • Simon Ings, Il peso dei numeri, Il Saggiatore

ascolti dalla a alla zebda

  • Aida Nadeem, Out of Baghdad
  • Alessandro Scarlatti, Giovanni Bononcini, "Andate, o miei sospiri"
  • Amine e Hamza M'Rahi, Asfar
  • David Sylvian, Nine horses
  • David Sylvian, tutto
  • Diego Ortiz, Ad Vesperas, Cantar Lontano
  • Domenico Gabrielli, Opera completa per violoncello
  • Emanuela Galli, Gabriele Palomba, Franco Pavan, Languir me fault
  • Eric Truffaz, Mounir Trudi, Face-à-face
  • François Couperin, Leçons de Ténèbres
  • Gianmaria Testa, Extra-muros
  • Henry Purcell, Fantazias, Rose Consort of viols
  • Hildegard von Bingen, Canti estatici
  • J.S. Bach, Soprano Cantatas, Cappella Istropolitana
  • Japan, tutto
  • Marc Antoine Charpentier, Salve Regina
  • Marin Marais, Pièces à deux violes 1686
  • Mario Biondi (essì, Mario Biondi)
  • Paolo Conte, Elegia
  • Ray Lema, Mizila
  • Rose consort of viols, Elizabethan songs and consort music
  • Sonia M'Barek, Tawchih
  • Vengeance du rap tunisien
  • Violent femmes, Violent femmes (purissima goduria)
  • Zebda, Essence ordinaire

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