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venerdì 24 agosto 2007

per Pegah e gli altri

Qualcuno di voi forse già saprà della storia di Pegah Emambakhsh, l'iraniana che è fuggita dall'Iran dopo la condanna a morte per lapidazione della sua compagna, con l'accusa di "depravazione" in quanto lesbica, e del fatto che in Gran Bretagna attualmente le è stato negato il diritto d'asilo, e la sua espulsione è prevista per il 28 agosto (anche se potrebbe essere rimandata). Io l'ho letto sulla mailing di Migra glb dell'Arci, e ora vedo sul bel blog di Giulia un articolato resoconto delle violazioni dei diritti umani in Iran per quanto concerne persone queer, con un link a Secondo Protocollo per firmare un appello per far accogliere Pegah in Italia. Mi auguro con tutta l'intensità che si può provare in casi come questo che almeno lei ce la possa fare.

e poi c'é il caso di questo gay afgano pubblicato oggi su Repubblica.it e ripreso dalla mailing di glb (ah quanto mi piace questa mailing). Ma DICO, io poi non capisco perché un/una eterosessuale non Schengen si può sposare anche per motivi di convenienza con un italiano e ottenere la cittadinanza e un omosessuale no.

ROMA - Nel suo paese d´origine rischia la vita perché è omosessuale, come Pegah Emambakhsh. Per questo, per non doversi nascondere e vivere la vita che vuole, ha chiesto di poter restare in Italia. In prima istanza la sua richiesta è stata respinta: se lo stesso accadrà in appello Ahmed - il nome è di fantasia - dovrà lasciare immediatamente il nostro paese e tornare in Afghanistan.

È un caso del tutto simile a quello di Pegah Emambakhsh quello che in queste settimane si sta vivendo in una piccola città della Lombardia di cui, per ragioni di riservatezza, non facciamo il nome. Nella pianura padana Ahmed, 24 anni, abita da otto mesi con il suo compagno, che è italiano. I due si sono conosciuti su Internet e poi si sono incontrati per una vacanza in India: al termine del viaggio hanno deciso di restare insieme e tornare in Italia. Qui Ahmed è entrato con un visto turistico, ma poi ha scelto di rimanere per vivere con il compagno. I due hanno inoltrato una richiesta di permesso di soggiorno per motivi umanitari, adducendo come motivo l´omosessualità di Ahmed: in Afghanistan sarebbe punita dal Codice penale con una "lunga pena detentiva" e dalla sharia - che si applica in molte zone - con la morte per lapidazione o impiccagione. La richiesta però è stata respinta dai giudici, che non hanno ritenuto sufficientemente provati i rischi per la vita di Ahmed. La coppia, assistita da un avvocato e dall´associazione GayLib, ha presentato ricorso: se la domanda verrà bocciata la procedura di allontanamento per Ahmed - che è già partita - dovrà essere eseguita immediatamente. È proprio la paura di essere cacciato che spinge Ahmed a parlare per la prima volta pubblicamente della sua storia.

Ahmed, perché vuole restare in Italia?

«Perché voglio vivere con il mio partner. Non avevo mai pensato di venire in Italia prima di incontrare lui, ma ora siamo insieme e vogliamo restarci: questo è l´unico posto per farlo. Non possiamo certo tornare in Afghanistan, ci ucciderebbero e in un altro paese io avrei sempre il problema del permesso di soggiorno».

Perché dice che la ucciderebbero?

«Perché è quello che accade: è un paese islamico e molto tradizionalista. La legge dice che un gay deve essere impiccato. Tutti dicono che l´Afghanistan è diventato un paese democratico: non per i gay».

Come ha vissuto finora in Afghanistan?

«Nascosto. La mia omosessualità è un segreto per tutti. La mia famiglia non lo sa: mio padre è morto e mia madre e mia sorella contano molto sull´aiuto dei parenti. Se loro sapessero che sono gay non le aiuterebbero più. Non ho mai potuto essere quello che sono: a Kabul non ci sono locali per i gay e gli omosessuali si vedono in segreto, fra le paure. Per questo mi sono rivolto a Internet per trovare una persona con cui essere me stesso».

È sicuro di non voler rimanere in Italia per il benessere economico o perché la vita è più sicura qui?

«A Kabul lavoro in un´impresa di costruzioni americana. Non ho problemi di soldi. Amo il mio paese e non voglio abbandonarlo: non chiedo asilo politico perché se lo facessi non potrei più tornare indietro. Se mi concedessero il permesso di soggiorno invece sarei libero di rientrare in Afghanistan e la mia famiglia non saprebbe mai il vero motivo per cui sono qui».

Cosa sanno ora?

«Che sono ospite da amici italiani»

E non sospettano?

«No, non immaginano neanche da lontano. Forse voi italiani non capite quanto possa essere scioccante l´omosessualità in certi paesi: non ci si può neanche pensare».

Ha mai ricevuto minacce perché è gay?

«No, perché nessuno ha mai saputo che sono gay».

È deluso dal "no" alla richiesta di permesso di soggiorno?

«Certo che lo sono. Lo scorso anno c´è stato il caso di un afgano che si è convertito al cristianesimo e per questo rischiava la morte: l´Italia l´ha aiutato. Vorrei solo che si capisse che io rischio di finire come lui: spero che l´Italia aiuti anche me a restare qui e ad essere felice».

giovedì 23 agosto 2007

pictures from Tunisia






Quest'anno non avevo molta voglia di scattare foto. La cosa mi suscitava una certa perplessità e apprensione, fin quando non sono andata a fare una gita in barca al largo di Biserta, in un battello coloratissimo. Dopo, ho ripensato allo stato di attenzione asoluta che mi aveva colto nel fotografare, concentrata sulle immagini che vedevo ancor prima di scattare, e che volevo ottenere, dimentica del tempo che scorreva e delle persone che si muovevano accanto a me, come in una bolla spazio temporale. E mi sono detta che l'ispirazione, quando deve arrivare, arriva, e che ansie e perplessità sono inutili.
Sulla barca, rappresentanti di una Tunisia occidentalizzata, fatta di quelle poche persone che fanno immersione subacquea. Khaled, il capitano, capelli biondi e fluenti, gli occhi azzurri, uno dei pochi tunisini che abbia visto indossare uno slip come costume da bagno invece dei consueti calzoncini, e che a fine giornata stanerà una cernia di quindici chili. Murad, che conduce le immersioni, alto, magro, capelli ricci dalle ciocche bionde e di media lunghezza (quasi tutti i tunisini li portano tagliati a spazzola e cortissimi), che ci racconta in maniera disinvolta delle sue avventure amorose, una ragazza a sera. Una serie di donne che sembrano habituées della barca, dalla pelle bianchissima, tutte in grado di pagare i 60 dinari che servono per il giro più l'immersione, quasi quaranta euro. Qualche francese venuto con amici tunisini, o che vive e lavora in Tunisia, e magari dopo anni non ha ancora imparato una sola parola di tunisino. E Michele, mezzo tedesco, che si è aperto una fabbrica di confezioni tessili, società esentata dalle tasse per quattro anni (poi si cambia nome e ricomincia tutto daccapo), con un socio di maggioranza tunisino come è previsto dalla legge, e milleseicento operai, due o tre case in vari luoghi della Tunisia e due domestiche. E una settimana dopo vado da una mia amica a Sfax, che fa un dottorato in storia dell'alimentazione. Tutte le donne della sua famiglia hanno indossato il velo, cominciano a non mandare più le figlie a scuola. Lei è l'unica a non coprirsi la testa, e le vicine vanno dai parenti e la criticano. E lei non mangia. Per fortuna da settembre sarà a Tunisi. Una nipote disegna abiti in accordo con questa visione dell'Islam e li confeziona per le conoscenti. La casa non ha acqua potabile, a terra il cemento nudo lascia intravedere i cavi dell'elettricità, vi si accede per strade sterrate, come sempre accade in quartieri come questi, dalle case autocostruite. Il cognato è mezzadro, non ha nemmeno un'auto per trasportare i prodotti che coltiva. Suo fratello, una laurea in letteratura araba, munge mucche in mancanza d'altro. Passo una scheda telefonica da cinque dinari (più cinque di bonus) a Fetr, che si illumina e mi ringrazia calorosamente mandandomi un bacio. Poi ci dice, ridendo, l'anno prossimo venite a stare qui, che invece di spendere i soldi in albergo li date a noi. La nipote le chiede di passarle una parte del credito per poter chiamare il fidanzato. Anni luce da Cartagine Dermech, con uno scintillante Monoprix, ristoranti costosi, un caffé sulla cui boiserie risaltano immagini di caffettiere moka e tazze di cappuccino, con scritte in italiano, residenza di molte coppie miste, dalle ville che possono costare quattromila dinari al mese di affitto.

film à ne pas rater

  • Come l'ombra, Marina Spada
  • el-Jenna alan, Paradise now, Hany Abu-Assad
  • Il segreto di Esma, Jasmila Zbanic
  • Inland Empire, David Lynch
  • La vita segreta delle parole, Isabelle Coixet
  • Mille miglia lontano, Zhang Ymou
  • Rosetta, Jean-Pierre e Luc Dardenne

letture

  • Amitav Ghosh, circostanze incendiarie, Neri Pozza
  • Aminatta Forna, Le pietre degli avi, Feltrinelli
  • Studio Azzurro. Videoambienti, ambienti sensibili
  • Rick Moody, I rabdomanti, Bompiani
  • Claire Castillon, Veleno, Bompiani
  • Werewere Liking, La memoria amputata, BCD editore
  • Antonio Pascale, La manutenzione degli affetti, Einaudi
  • Simon Ings, Il peso dei numeri, Il Saggiatore

ascolti dalla a alla zebda

  • Aida Nadeem, Out of Baghdad
  • Alessandro Scarlatti, Giovanni Bononcini, "Andate, o miei sospiri"
  • Amine e Hamza M'Rahi, Asfar
  • David Sylvian, Nine horses
  • David Sylvian, tutto
  • Diego Ortiz, Ad Vesperas, Cantar Lontano
  • Domenico Gabrielli, Opera completa per violoncello
  • Emanuela Galli, Gabriele Palomba, Franco Pavan, Languir me fault
  • Eric Truffaz, Mounir Trudi, Face-à-face
  • François Couperin, Leçons de Ténèbres
  • Gianmaria Testa, Extra-muros
  • Henry Purcell, Fantazias, Rose Consort of viols
  • Hildegard von Bingen, Canti estatici
  • J.S. Bach, Soprano Cantatas, Cappella Istropolitana
  • Japan, tutto
  • Marc Antoine Charpentier, Salve Regina
  • Marin Marais, Pièces à deux violes 1686
  • Mario Biondi (essì, Mario Biondi)
  • Paolo Conte, Elegia
  • Ray Lema, Mizila
  • Rose consort of viols, Elizabethan songs and consort music
  • Sonia M'Barek, Tawchih
  • Vengeance du rap tunisien
  • Violent femmes, Violent femmes (purissima goduria)
  • Zebda, Essence ordinaire

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