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sabato 30 giugno 2007

come l'ombra

Ho conosciuto Marina Spada dapprima dal gusto di una zuppa di piselli, insieme deciso e leggero, che lei aveva preparato da una comune amica dove era stata ospite per qualche tempo, a Roma. Poi, sempre lì, l'ho incontrata, ci siamo incrociate al citofono, e basta guardarla per capire che donna forte, decisa e anticonvenzionale sia. Abbiamo diviso in tre una conversazione animata da una solidarietà femminile, da un comune sentire. Sapevo del suo film, che le mie amiche a contatto con il mondo del cinema mi avevano detto essere bellissimo. Ma ha fatto il giro d'Europa, caricandosi di premi, prima di arrivare a Milano e, presumo, in Italia. Marina ha saputo cogliere con incredibile nitidezza, profondità, aderenza al senso delle vite la solitudine esistenziale di una persona qualunque a Milano, scandita da grigie ritualità, un muoversi tra spazi relazionali e fisici anodini, anomici. Claudia lavora in un'agenzia di viaggi. La sua casa è una casa vera, una delle tante case in cui si può entrare a Milano, anni Quaranta, porte e finestre bianche, stondate, arredo Ikea, un bagno dove con inappuntabile precisione viene appesa alla sbarra della tenda della vasca da bagno la biancheria intima del giorno, il frigo ingombro di cartoline. Ogni mattina il tram, e la serranda dell'agenzia da alzare, e la sera l'inquietante profilo dell'insegna di un'incombente Esselunga di periferia, riflessa talvolta nei vetri, e la spesa nel frigo. La casa dei genitori anziani in una periferia triste, forse case popolari, ritualità familiari, la mamma che prepara il polpettone, la sorella che spera di uscire dalla sua solitudine con un assiduo cliente della banca in cui lavora, magari altrettanto solo anche lui.
L'unico momento di evasione, a parte una scopata occasionale, è rappresentato dal corso di russo. La donna inizia una relazione con il suo insegnante ucraino, Boris, che dovendo partire, dice, per motivi di lavoro le affida una cugina in procinto di arrivare, promettendo che tornerà a prenderla prima delle sue vacanze in Grecia. Claudia, con quella diffidenza al rapporto con il nuovo, all'accoglienza nello spazio privato, che può essere molto milanese, tentenna, poi accetta. Si trova in casa questa ragazza bella e affamata di un mondo nuovo, sperimenta timidamente il piacere di una relazione assidua con un'altra persona, fatta di piccole condivisioni.
Ma la vicenda si complica, sprofonda nell'opacità degli eventi, il viaggio in Grecia viene annullato. Boris sembra difficile da rintracciare, e anche la ragazza scompare. Non voglio raccontare di più, avendo maturato la convinzione che film irrinunciabili come questo vadano visti sapendone il meno possibile, addentrandosi nella storia, vivendola nella progressiva scoperta e totale partecipazione, nello sprofondamento. Molta della bellezza del film è nella sua luce allo stesso tempo tersa e desolata, nei suoi paesaggi urbani fatti di snodi, di muri, di entropia architettonica, respingenti, scorci smembrati da ponteggi. Forte è stata probabilmente l'impronta di Gabriele Basilico, che ha partecipato alla produzione del film insieme alla Kairòs e alla stessa Marina Spada. La bellezza del film risiede anche nell'opacità delle vite di cui lo spettatore sa poco più che la protagonista, e che rimandano sia all'indeterminatezza delle esistenze altrui nelle quali ci imbattiamo, soprattutto se provengono da altri mondi, sia ad un testo narrativo bello perché asciutto, aperto, inconcluso, se non per la sensazione che alla fine la protagonista abbia subito una metamorfosi, sia pronta ad andare anche lei verso un'indeterminatezza dell'esistenza, affrontandola, osando. Alcuni indizi di senso, mai del tutto rivelatori, giacciono in alcuni gesti e scene muti ma eloquenti, nella visita della donna alla casa di Boris, in un palazzo cadente e affollato di immigrati, minuscolo tassello su una persona di cui lei, in fondo, non sa nulla. In una canzone di Laura Pasini, "La solitudine", semplice e immediata chiave di lettura del film, cantata insieme dalle due donne. E nei versi di " A molti" di Anna Achmatova, del 1922, da un libro comprato quasi per caso in libreria, che compaiono dopo la dissolvenza dell'ultima inquadratura: "Come vuole l’ombra staccarsi dal corpo/ Come vuole la carne separarsi dall’anima/ Così adesso io voglio essere dimenticata".

(in basso su youtube trailers e clips e colonna sonora)

giovedì 28 giugno 2007

Ristabilire confini

Si è concluso dimessamente, in sordina, questo periodo di lavoro allo sportello d'aiuto della Stazione. Si pensa che le fini da chissà quale peso simbolico debbano essere contrassegnate e invece no, è solo la dissolvenza di un'ora nell'altra, una giornata nell'altra, un impercettibile cambiamento nell'ordine delle cose mentre tutto gira intorno come sempre. Oggi era stata organizzata una giornata di formazione trasformata a livello istituzionale in evento di richiamo per i media. Io sono rimasta sola allo sportello, a confrontarmi con una coda quasi continua che strideva con l'atmosfera da deserto dei tartari dei giorni precedenti. Le richieste delle persone, le loro esitazioni, le attese, gli indugi, le lentezze, le mute richieste, le preghiere, mi strappavano lingue di energia crepitante come un fuoco che sta per spegnersi, lasciandomi esausta, irritata, impaziente. Sentivo le mani sporche, e le tracce delle guance che si erano appoggiate alla cornetta del telefono, di respiri che mi invadevano e respingevano.
Arriva, dopo un tempo non troppo lungo, in questo lavoro, una fase che segue la spinta di fusione e immedesimazione iniziale. Tu sei tu, gli altri sono gli altri, tu hai la loro vita, loro la loro. E continui con questo surreale lavoro di tourist informations per poveri, nel quale la richiesta di un letto in dormitorio per un nuovo arrivato è pari a quella di un albergo, con lo stesso tipo di indicazioni sui percorsi, le condizioni di alloggio, i tentativi di questi particolari viaggiatori di orientarsi nelle informazioni. Sai che molti di loro non troveranno un posto dove dormire, e preghi dentro di te che un modo per abituarsi lo trovino, perché è tutto quel che possono fare. Chi fa un lavoro del genere, uscito da quel posto, dovrebbe recarsi a coltivare un orto, curare il suo giardino, cucinare piatti armoniosi e lievi, se plonger dans le découpage, e non andare a occuparsi di manipolare concetti, e nemmeno dei figli né di riordinare la casa, dovrebbe solo dedicarsi, come una specie di monaco, a incamerare armonia per poi emanarla a sua volta. Oggi è venuto un uomo che mi ha chiesto se vi fossero richieste di lavoro, mi ha detto che è uscito di prigione, che non trova nulla, nulla, nemmeno sulla lista degli invalidi civili, e che devo fare un altro reato? Nel dargli la lista dei centri di orientamento al lavoro gli ho detto, non devi mai smettere di tentare, non arrenderti, ma lui, esasperato, ha voltato la schiena e se n'è andato. E' venuto uno il cui odore d'alcool perforava i vetri dello sportello, mandando un curriculum per un lavoro, e io mi sono detta, questo qui chi se lo prende. Il gestore di una cooperativa mi ha detto di essere interessato a passarci annunci di lavoro, spero i miei colleghi li accettino. E' venuto un frequentatore abituale dello sportello, sorprendentemente commosso per la mia partenza, perché, diceva lui, quando si comincia a stabilire un dialogo, eppure non mi sembrava si fosse intessuto alcun rapporto speciale. Qualche giorno fa era venuto D., che improvvisamente, ad un certo punto, aveva cominciato a dirmi: "A me non mi vuole bene nessuno". E poi che voleva tornare dalla sua famiglia, dalla madre di quasi novant'anni, ma che prima doveva capirsi, conoscersi, e poi che non si perdonava per il male che aveva fatto, per essersi speso i soldi a puttane, per aver tradito la sua compagna mentre era ubriaco, anche se lei lo perdonava. E io che gli dicevo che come si fa a capirsi se non ci appoggiamo agli altri, e che si doveva perdonare, e lui, sono orgoglioso, lo so che se voglio ne esco, e allora, gli dicevo io, escine, torna da tua madre prima che sia troppo tardi. Ad un certo punto si è messo a piangere, poi mi ha detto scusa se ti ho portato via del tempo, e io gli ho risposto no, mi fa piacere parlare con te, ma mi osservavo dall'esterno come se in tutto quello che dicevo fosse una nota falsa, come se tutto fosse vero e allo stesso tempo parte di un'eterna rappresentazione. Gli ho detto torna a trovarmi, e lui io non prometto niente, e io ma pensaci, e poi me ne sono andata, maledetta piscina, maledetti orari dai quali continuiamo a farci inscatolare la vita. Se fossi restata avrei potuto fare qualcosa di più, agganciarlo in qualche modo? Lui non è più tornato per una settimana, ipotizzo che non sia casuale.
Entrano dei giornalisti, mi fotografano, mentre faccio finta di far qualcosa. Domani apparirò, ironicamente, sui giornali, a rappresentare un posto in cui non ci sono più. I momenti di stillicidio, il confronto spossante con le esistenze ai margini di tutti i giorni, diventeranno istituzione sui giornali, un fascio di compiti e di attività, e tutto sembrerà un efficiente ingranaggio.
S. mi porta una grande guantiera nella quale vagano come sperduti alcuni vol au vents e dei dolcetti alla crema, al cioccolato. Li deglutisco automaticamente, in una sorta di rito d'addio, dimesso come è giusto che sia.

martedì 26 giugno 2007

l'assoluto e la bellezza




Sembrano fatte per carezzare i sensi e lo spirito, serate come questa. Al teatro Dal Verme, la prima tranche della Milanesiana della mia stagione, con Orhan Pamuk e Jordi Savall. Di Pamuk, altri, con molta più competenza letteraria della sottoscritta, e una conoscenza quasi completa dell'opera dello scrittore, che invito caldamente a leggere (nel dubbio: entrambi), parleranno molto meglio di me (o forse, penso immodestamente, solo diversamente). Rimpiango di non aver portato un taccuino, mi aspettavo una conversazione canonica sull'opera di Pamuk e magari sull'attualità, mentre quello che considero uno dei pochi scrittori contemporanei ancora in grado di creare capolavori letterari ha donato al suo pubblico una vera e propria lectio, fatta di ragionamenti lucidi e affilati come una lama di coltello, limpidi come acque cristalline, mostrando una profonda capacità di compenetrazione del testo letterario. Pamuk ha dapprima citato i suoi scrittori preferiti, Proust, Mann, Dostoevskij, rivelando una forte percezione visiva ed estetica del testo, cosa che poi non stupisce chi abbia letto Il mio nome è Rosso (che io ho apprezzato in traduzione francese), dalle cui pagine fuoriescono incantevoli miniature, disegni che aspirano a dare un'idea della perfezione del mondo di creazione divina, e nel quale ogni cosa, per questo, non può essere cambiata, ma è destinata ad essere disegnata sempre al medesimo modo. E descrizioni sottilissime del processo della creazione delle miniature, tanto sottili quanto le descrizioni dei personaggi del polifonico romanzo, e la trama di una fosca catena di delitti che tiene avvinti fino all'ultima pagina. Nella decadenza di queste tradizioni iconiche per motivi di ordine religioso Pamuk vede un avvicendamento storico di decadenza e oscurantismo. Lo scrittore si è dedicato soprattutto a Dostoevskij, i cui personaggi, lui dice, aspirano all'assoluto pur sapendo di non potervi riuscire. Nel complesso rapporto di attrazione e repulsione per l'Occidente e le teorie illuministiche del protagonista delle Memorie del sottosuolo Pamuk legge finemente, addentrandosi nella biografia dello scrittore, lo stesso dilaniamento dell'autore, avverso non tanto ai principi filosofici e culturali occidentali quanto ad una cieca aderenza ad essi; e in fondo il suo, di Pamuk, dai cui libri affiora sempre il rapporto ambivalente con l'Occidente. Proprio da Dostoevskij è nata per Pamuk questa vena narrativa che oggi impregna tutta la letteratura postmoderna e postcoloniale, che si è appropriata, riformulandola, interrogandola, ampliandone gli orizzonti e complessificandoli, rendendoli più stridenti e meno composti, di quell'arte del romanzo che è di origine e tradizione europea. Ho amato molto la lucidità e nitidezza di pensiero, la compostezza di questo scrittore.
Jordi Savall, maestro di viola da gamba, mio strumento prediletto insieme al violoncello, è da lungo tempo uno dei miei musicisti preferiti, che mi ha fatto conoscere molti anni fa compositori come Juan del Encina e Alfonso X el Sabio. In questa serata ha eseguito alcune Folias e Romanescas di Diego Ortiz, musiche di Tobias Hume e dell'eccelso Marin Marais. Ora, qui accanto a me, giace la copertina di Suite d'un gout étranger (con circonflesso sulla u), pièces de viole du IV livre, 1717 (Aliavox). I tocchi profondi della viola da gamba mi avvolgono le viscere incapsulandomi in una membrana protettiva. Ristò avvolta dalla musica, e le mie membra ne accarezzano le vibrazioni, compenetrandovisi. Forse che la musica non rintocca nei nostri organi interni, nel nostro corpo? Dei musicisti di cui ha interpretato la musica, Jordi Savall ha detto che "erano persone che hanno dedicato la vita alla ricerca della bellezza". Io spero che in qualche modo lui, e loro, siano (stati) ricompensati per la bellezza che hanno profuso così generosamente, e che puntella il mondo, così come quella dei libri di Pamuk.
Questo che ascolto e altri magnifici dischi, tra i quali si trovano le musiche che ho ascoltato stasera, si possono trovare alla libreria Largo Mahler di via Conchetta 2 a Milano, o sul sito www.largomahler.it. E come al solito ho scritto un post più lungo che nelle mie intenzioni.

lunedì 25 giugno 2007

trovare, lqa

Nils-Aslak Valkeapää
Poeta Sami, 1943, 2001

Solen, min far (1991)

Her kan du finne så mye
Og har du øyne å se md
Behøver du ikke lete


Il sole, mio padre

Vi è molto di più da trovare,
se hai occhi per vedere
non avrai bisogno di cercare


(citato in Beyond the words: The power of resonance, Unni Wikan, "American Ethnologist", vol. 19, n. 3, pp. 460/482, di cui forse si scriverà prossimamente; sfondo sonoro Sigur Ròs, Glòsòli, tradotto con "glowing sun", risplendente, ma anche caloroso).

film à ne pas rater

  • Come l'ombra, Marina Spada
  • el-Jenna alan, Paradise now, Hany Abu-Assad
  • Il segreto di Esma, Jasmila Zbanic
  • Inland Empire, David Lynch
  • La vita segreta delle parole, Isabelle Coixet
  • Mille miglia lontano, Zhang Ymou
  • Rosetta, Jean-Pierre e Luc Dardenne

letture

  • Amitav Ghosh, circostanze incendiarie, Neri Pozza
  • Aminatta Forna, Le pietre degli avi, Feltrinelli
  • Studio Azzurro. Videoambienti, ambienti sensibili
  • Rick Moody, I rabdomanti, Bompiani
  • Claire Castillon, Veleno, Bompiani
  • Werewere Liking, La memoria amputata, BCD editore
  • Antonio Pascale, La manutenzione degli affetti, Einaudi
  • Simon Ings, Il peso dei numeri, Il Saggiatore

ascolti dalla a alla zebda

  • Aida Nadeem, Out of Baghdad
  • Alessandro Scarlatti, Giovanni Bononcini, "Andate, o miei sospiri"
  • Amine e Hamza M'Rahi, Asfar
  • David Sylvian, Nine horses
  • David Sylvian, tutto
  • Diego Ortiz, Ad Vesperas, Cantar Lontano
  • Domenico Gabrielli, Opera completa per violoncello
  • Emanuela Galli, Gabriele Palomba, Franco Pavan, Languir me fault
  • Eric Truffaz, Mounir Trudi, Face-à-face
  • François Couperin, Leçons de Ténèbres
  • Gianmaria Testa, Extra-muros
  • Henry Purcell, Fantazias, Rose Consort of viols
  • Hildegard von Bingen, Canti estatici
  • J.S. Bach, Soprano Cantatas, Cappella Istropolitana
  • Japan, tutto
  • Marc Antoine Charpentier, Salve Regina
  • Marin Marais, Pièces à deux violes 1686
  • Mario Biondi (essì, Mario Biondi)
  • Paolo Conte, Elegia
  • Ray Lema, Mizila
  • Rose consort of viols, Elizabethan songs and consort music
  • Sonia M'Barek, Tawchih
  • Vengeance du rap tunisien
  • Violent femmes, Violent femmes (purissima goduria)
  • Zebda, Essence ordinaire

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