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domenica 2 settembre 2007

La marcia del romanzo attraverso la storia

"Da bambino passavo le vacanze nella casa di mio nonno a Calcutta,ed è stato là che ho cominciato a leggere. la casa di mio nonno era un luogo caotico e rumoroso, popolato da un gran numero di zii, zie, cugini e domestici, alcuni bizarri, altri semplicemente eccentrici, ma quasi tutti molto eccitabili. Eppure in quella casa ho imparato sulla lettura più di quanto abbia appreso negli anni di scuola". Così inizia il saggio di Amitav Ghosh, dal titolo citato in alto, contenuto nella recente raccolta di reportages e scritti Circostanze incendiarie, pubblicata di recente da Neri Pozza. Attraverso l'introduzione, che risucchia il lettore in una narrazione familiare, Ghosh racconta, attraverso l'elenco di alcuni libri presenti nella biblioteca domestica, la penetrazione del mondo in casa sua, intrecciando la biografia con un ambito di circolazione globale delle idee. C'erano Il ramo d'oro, le opere di Freud, Marx, Engels, Malinowski, capolavori della letteratura europea ottocentesca e novecentesca, persino Grazia Deledda, tutti i testi dei premi Nobel. Questi, per Ghosh, sono l'espressione di una "letteratura universale, una forma di espressione artistica che dà corpo a differenze di luogo e cultura, emozioni e aspirazioni, ma in modo tale da renderle comunicabili", un modo di tradurre cultura, di rendere concepibili vite immaginate in altri angoli di mondo, in modo da sfuggire al confinamento in un "tetro provincialismo".
Ghosh a questo punto però rileva una contraddizione, e cioè il fatto che i romanzi si fondano su un "mito di parrocchialità", vale a dire il rinchiudersi delle storie attorno a mondi dai confini culturali apparentemente netti e precisi. Una forma che sembra essere favorevole al rafforzamento della rappresentazione simbolica degli Stati nazione mediante una operazione di localizzazione, proprio nel momento in cui questi si dislocano e ampliano con l'acquisizione delle colonie, eliminando però questo spazio esterno, come bene ha messo in rilievo Franco Moretti.
Ghosh ricorda così che scrivere un romanzo, alla stregua di un lavoro di ricerca sociale, è frutto di un lavoro di selezione di elementi che concorre a comporre un quadro apparentemente coerente, e che per percepire l'ambiente circostante "bisogna distanziarsi da esso", compiendo quindi "un gesto di dislocazione", innanzitutto di ordine cognitivo, fuoriuscendo dalla doxa, dalle regole del gioco sociale che hanno apparenza di fatti naturali e taken for granted.
Eppure, proprio Ghosh è stato uno dei primi a spezzare la corrispondenza tra il decentramento cognitivo e la localizzazione narrativa ne Lo schiavo del manoscritto. Oggi i teorici del postcolonialismo caldeggiano la rappresentazione dell'ibridazione culturale. Molte le domande che sorgono intorno a questa tematica. E' giusto, e se sì come fare entrare il globale nel locale, come gli scrittori transnazionali, ad esempio Salman Rushdie o Jumpha Lairi vanno facendo? E' un compito che possono svolgere solo gli scrittori che già sono dentro un'alterità postcoloniale o anche quelli che si sono formati in un luogo più a lungo definito da una coerenza di rappresentazioni localizzanti? E se mettiamo, un italiano decide di aprire un suo romanzo a questi orizzonti, come dovrà attrezzarsi a farlo, senza correre il rischio di cadere in rappresentazioni stereotipate? Il saper guardare alla propria cultura con distacco porta con sé anche un saper guardare l'altro? E ancora, leggere libri di altri luoghi e prospettive culturali basta in sé a fare acquisire una distanza cognitiva? Oppure, perché gli scrittori la acquistano e altri eventualmente no? Quali sono i contesti, quali sono i processi? Porsi domande, ovviamente, significa analizzare una situazione, intravvederne gli spazi lasciati aperti a nuove e forse diverse immissioni di significato, rilevarne la complessità e l'indeterminazione al di là dell'apparente semplicità e completezza che il testo dà l'impressione di avere. Buona domenica, buona settimana, buona rentrée.

13 commenti:

Anonimo ha detto...

"E se mettiamo, un italiano decide di aprire un suo romanzo a questi orizzonti, come dovrà attrezzarsi a farlo, senza correre il rischio di cadere in rappresentazioni stereotipate?"

URKA, che domandona!;-)
Ci ho pensato su... beh, io partirei, naturalmente dal mercato... dato che oggi ormai c'è ed esiste solo quello, persino l' economia è morta per salvare il mercato... il mercato! IL MERCATO! Racconterei la storia di un prodotto che nasce, che so, in Cina, in India, o anche altrove, e lo accompagnerei fino al suo arrivo in Italia, e nelle "case degli italiani"... Oppure viceversa. Credo che sarebbe interessante!
(Don DeLillo docet: penso alla pallina da baseball di UNDERWORLD)

barbara68 ha detto...

in effetti, è una cosa già fatta da un antropologo americano. ma l'ibridazione delle identità personali, e dei luoghi che contengono ormai persone di provenienze diverse? :)

Anonimo ha detto...

Davvero? Interessante Barbara...
Comunque, in un modo o nell' altro, io terrei sempre il mercato come riferimento di partenza...

Su queste cose, o meglio, sull' ibridazione dei "luoghi", avevo scritto, ormai oltre 7 anni fa, una favola "urbanistica" per ragazzi.. ma fa schifo! Era ambientata alla periferia di Milano (anche se in realtà la città, nel testo, è anonima), e le protagoniste erano delle... ciminiere! Sul passaggio dall industrializzazione alla decadenza della grande industria a Milano, sulla crescita dei nuovi quartieri residenziali al posto delle industrie. Ma, ripeto, è venuta fuori un po' "naschifezza"...

barbara68 ha detto...

e invece secondo me deve essere una cosa carina, magari da rivedere un po' ora che il tempo è trascorso, e magari proporla a qualche editore per bambini... :)
quella del mercato è sicuramente un'idea interessante, ma i flussi delle merci e della valuta non sono necessariamente omologhi a quelli culturali. es. un arabo saudita può stravedere la tecnologia occidentale e continuare ad essere un fautore inveterato delle segregazione dei sessi(anche se poi chattano come dannati)...

Anonimo ha detto...

Infatti, Barbara, la mia "ossessione" per il mercato è semplicemente il turbamento personale di fronte ad un "mostro" che sta divorando ogni cosa.

Io purtroppo riesco spesso a spiegarmi meglio in immagini che a parole. Per questo, ti chiedo... hai mai visto il video di "AMERIKA" dei Rammstein? Se digiti "amerika rammstein" su YouTube lo trovi senza problemi... Ed è un terribile esempio "musical-visivo" di quello che voglio dire...

Partire dagli oggetti per arrivare agli uomini mi sembra una strada interessante: non dico "giusta", non necessariamente "virtuosa", ma a mio parere ideale per percorrere certi aspetti del mondo (snaturato) d' oggi che, se indagati sempre a partire "dagli uomini", restano a volte in ombra...

Definire i personaggi di un romanzo o di un racconto in base a ciò che li circonda, dall' esterno, dalle cose senza vita che vengono da fuori... mi piace molto questa idea... E, personalmente, la applico "inconsciamente" spesso anche quando, nel mio blog, descrivo il mio rapporto con le opere d' arte che mi capita di incontrare... un rapporto di succubato, ma allo stesso tempo di definizione del mio "io" ;-)

barbara68 ha detto...

ah ma certamente gli oggetti dicono molto... poi partiamo da prospettivi diverse, io analizzo e scompongo, tu assembli in modo narrativo creando connessioni...
cercherò il video, grazie :)

Anonimo ha detto...

La mia piccola opinione di lettrice è che, secondo me, uno dovrebbe scrivere un romanzo perché ha una storia da raccontare e la sua scrittura si basa su un'esperienza autentica (il che non ha niente a che vedere con l'autobiografismo ma col "sentire" e il "conoscere"). Se questa storia si apre senza forzature ad accogliere la dislocazione, bene, se diventa solo una forzatura per scrivere un Romanzo Interculturale e magari politicamente corretto... bleah! (non mi viene qualcosa di meno esplicito).

Il romanzo ottocentesco è nato proprio come mondo chiuso, realtà "ordinata" e quindi parziale... cosa che non mi dispiace affatto, soprattutto alla luce di certe "degenerazioni" novecentesche.

Piccolo es. tornando al tuo discorso: quando lessi "Il dio delle piccole cose" all'inizio avevo "paura": di annoiarmi, di non capire... Quando la protagonista raccontò di avere visto decine di volte da piccola il film "Tutti insieme appassionatamente" (proprio come me) sentii nella mia mente aprirsi un senso di fiducia e vicinanza: dopodiché affrontare tutte le problematiche delle caste e della politica indiana mi sembrò appassionante e non avevo più il problema di capire/non capire (cioè mi erano caduti i pregiudizi e gli "steccati" che avevo ben rigidi in testa). In quel caso, il rapporto con l'Inghilterra colonizzatrice (con tutti gli incontri e scontri del caso) funzionava perché c'entrava con la storia, non c'erano "tesi" da sostenere... Questo giusto per fare un esempio.
Scusa, ho scritto tanto, forse banalità, ma in poche righe è difficile approfondire...

barbara68 ha detto...

sì Ilaria, in effetti parlavo proprio di quella messa in scrittura dell'esperienza che dovrebbe essere resa possibile, come dice Ghosh, da quel distanziarsi dalle proprie categorie acquisite fin dalla tenera età, cogliendone l'arbitrarietà e l'artificiosità, guardandole in modo distaccato senza esserci troppo immersi dentri.
Senza né voler fare intercultura né del politicamente corretto, mi chiedo se quello che è bastato a descrivere se stessi può bastare a descrivere l'alterità, cosa che si è fatta e si sta facendo ad esempio nei polizieschi (ad esempio in Izzo) e che tuttavia è un genere che non conosco bene. Mi chiedevo quindi chi si fosse posto il problema.
Se il politicamente corretto non è auspicabile, altrettanto credo non lo sia un'ipotetica riproduzione di stereotipi, che non restituisce il senso di nessuna realtà (qualunque sia il significato attribuito a questa parola).
Quando parli del Dio delle piccole cose in fondi parli di un metodo di interculturalità, non so quanto voluto dall'autrice, evidenziare i punti in comune per rendere poi più facilmente avvicinabili e comprensibili le differenze (che io ho sempre trovato molto attraenti), e questo non è stato solo coinvolgente, ma ha costituito, credo, una riuscita prova letteraria.
Il problema semmai è, gli altri sanno tirare fuori le cose che hanno preso da noi o che hanno in comune, e noi sappiamo fare lo stesso nei loro confronti?
E' tutto per ora, grazie del contributo, io mi vado a leggere Kiran Desai... :)

Anonimo ha detto...

un modo di tradurre cultura, di rendere concepibili vite immaginate in altri angoli di mondo, in modo da sfuggire al confinamento in un "tetro provincialismo"

leggere libri di altri luoghi e prospettive culturali basta in sé a fare acquisire una distanza cognitiva?

credo sia importante affiancarvi il "viaggio", anche verso le altre persone, le aperture vere passano attraverso i contatti

buona settimana anche a te :-)
Yz

barbara68 ha detto...

cara Yzma, dici bene, il viaggio è innanzitutto verso gli altri, non verso un altrove, a cominciare, direi, da chi ci troviamo accanto. E' troppo facile trasformarli in oggetti esotici e degni di empatia mentre siamo in viaggio, per poi trovarli facilmente fastidiosi quando diventano i nostri vicini di casa.

Anonimo ha detto...

La ringrazio per Blog intiresny

Anonimo ha detto...

leggere l'intero blog, pretty good

Anonimo ha detto...

quello che stavo cercando, grazie

film à ne pas rater

  • Come l'ombra, Marina Spada
  • el-Jenna alan, Paradise now, Hany Abu-Assad
  • Il segreto di Esma, Jasmila Zbanic
  • Inland Empire, David Lynch
  • La vita segreta delle parole, Isabelle Coixet
  • Mille miglia lontano, Zhang Ymou
  • Rosetta, Jean-Pierre e Luc Dardenne

letture

  • Amitav Ghosh, circostanze incendiarie, Neri Pozza
  • Aminatta Forna, Le pietre degli avi, Feltrinelli
  • Studio Azzurro. Videoambienti, ambienti sensibili
  • Rick Moody, I rabdomanti, Bompiani
  • Claire Castillon, Veleno, Bompiani
  • Werewere Liking, La memoria amputata, BCD editore
  • Antonio Pascale, La manutenzione degli affetti, Einaudi
  • Simon Ings, Il peso dei numeri, Il Saggiatore

ascolti dalla a alla zebda

  • Aida Nadeem, Out of Baghdad
  • Alessandro Scarlatti, Giovanni Bononcini, "Andate, o miei sospiri"
  • Amine e Hamza M'Rahi, Asfar
  • David Sylvian, Nine horses
  • David Sylvian, tutto
  • Diego Ortiz, Ad Vesperas, Cantar Lontano
  • Domenico Gabrielli, Opera completa per violoncello
  • Emanuela Galli, Gabriele Palomba, Franco Pavan, Languir me fault
  • Eric Truffaz, Mounir Trudi, Face-à-face
  • François Couperin, Leçons de Ténèbres
  • Gianmaria Testa, Extra-muros
  • Henry Purcell, Fantazias, Rose Consort of viols
  • Hildegard von Bingen, Canti estatici
  • J.S. Bach, Soprano Cantatas, Cappella Istropolitana
  • Japan, tutto
  • Marc Antoine Charpentier, Salve Regina
  • Marin Marais, Pièces à deux violes 1686
  • Mario Biondi (essì, Mario Biondi)
  • Paolo Conte, Elegia
  • Ray Lema, Mizila
  • Rose consort of viols, Elizabethan songs and consort music
  • Sonia M'Barek, Tawchih
  • Vengeance du rap tunisien
  • Violent femmes, Violent femmes (purissima goduria)
  • Zebda, Essence ordinaire

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