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giovedì 26 luglio 2007

partir, encore

Sono arrivata alla conclusione di Partir, e vi ho trovato, salve le non lievi critiche che che ho già mosso a questo romanzo e altre che ne farò, degli elementi interessanti. Le vicissitudini dei personaggi principali, i due fratelli Azel e Kenza, appaiono motivate da quelle che sono le rappresentazioni e le aspettative di cui la società di accoglienza fa carico al migrante: partire, avere successo e far soldi, tornare da eroi, mai da sconfitti, fondare una famiglia, avere dei figli. E' la radice di un profondo disagio psicologico, per il quale, commenta sconsolatamente l'autore, non vi sarà nessun divano di psicoanalista, perché questa pratica non è nella tradizione culturale degli arabi, e su questo vi sarebbe da dire, ma passo avanti. L'idea della vergogna, del non aver compiuto il percorso ideale prescritto, tormenta Kenza e Azel, portandoli fino ai livelli più bassi dell'esistenza, impedendo loro di fondare una vita costruttiva altrove, di espandere le possibilità del proprio Sé. Vi è quindi una critica profonda e radicale mossa alla staticità della società marocchina, al suo condannare uomini e donne a ruoli prefigurati, talora difficilissimi da indossare.
Eppure, mi chiedo, invece di prefigurare percorsi biografici così catastrofici, perché non parlare di delicati e complessi percorsi di vita in cui si media, cautamente, la tradizione con scelte innovative? Come quelle donne marocchine sposate che partono, loro per prime, certo, una minoranza. O come quella donna che ho intervistato e che, arrivata in Italia, aveva lì conosciuto e sposato un marocchino, e gestiva insieme a lui un bar frequentato soprattutto da compaesani, ce qui pour une femme arabe n'est pas évident, conciliando la tradizione con profondi cambiamenti.
E poi, mi chiedo ancora, è possibile operare una lettura profonda e articolata dei testi sulla migrazione che sia solo teorica, che non derivi dall'essersi addentrati in questi percorsi di vita, e nel dispiegarsi quotidiano delle abitudini, qui e lì, senza aver praticato dunque un'antropologia multilocalizzata? Si può ridurre tutto all'analisi del solo testo, concepito come autonomo? La mia risposta è no, perché qui, come mai, la vita e lo sguardo dell'autore sono profondamente embedded, per usare un termine che rende l'idea, in un ampio contesto storico e culturale.
Torniamo alle notazioni di carattere letterario. La conclusione del romanzo, con le riflessioni che vi si accompagnano, è frutto di un vistoso détournement della trama. Si arriva ad un certo punto del romanzo in cui la madre di Azel e Kenza dovrebbe raggiungerli in Spagna. In seguito questa ipotesi sparisce, scompare nel nulla, Kenza deciderà di rientrare, Azel muore ma a quel punto l'intreccio, con le possibili conseguenze si interrompe, si dissolve. Possibile che nessun editor si sia accorto di questa marchiana incongruenza? E l'autore?
La chiusa, tuttavia, mi piace, la trovo molto poetica, e certamente utopica, vi compare l'immigré anonyme, mi sembra, in fondo, metafora di una condizione umana ampiamente condivsa, e la riporto qui: "Cet homme est celui qu'a été ton père, celui que sera ton fils, celui que fut aussi, il y a bien longtemps, le Prophète Mohammed, nous sommes tous appelés à partir de chez nous, nous entendons tous l'appel du large, l'appel des profondeurs, les voix de l'étranger qui nous habite, le besoin de quitter la terre natale, parce que souvent, elle n'est pas assez riche, assez aimante, assez généreuse pour nous garder auprès d'elle. Alors partons, voguons sur les mers jusu'à l'extinction de la plus petite lumière que porte l'âme d'un être, qu'il soit d'ici ou d'ailleurs, qu'il soit un homme de Bien ou un être égaré possédé par le Mal, nous suivrons cette ultime lumière, si mince, si fine soit–elle, peut–être que d'elle jaillira la beauté du monde, celle qui mettra fin à la douleur du monde".

7 commenti:

Anonimo ha detto...

bello, ho capito quasi tutto senza larousse.Avevo battezzato il quadro di un amico :
"Nell'approssimarsi d' una ultima luce." Ora posso dare inizio al mio viaggio (che è, com' è spesso, un ritorno).Prima però si manduca. : P (slurp)
D

barbara68 ha detto...

parti per le vacanze ??

Anonimo ha detto...

No no.E' un viaggio spirituale pantofolato.Intando penso a qualcosa da fare in Agosto(ferie), ma blandamente e sempre a braccia conserte. E se invece del narghilè fosse ouzo con acqua ghiacciata e stelle cadente e grilli che grillano e rane che ranano e incongrui discorsi sino all'alba?Come da ragazzi.Ciao! D

barbara68 ha detto...

spero che le pantofole siano metaforiche, sono peggio di Nanni Moretti... ;)
per il resto, l'ouzo è ouzo, il resto è universale, noo? solo che se tornassi in Grecia vorrei imparare un po' di greco moderno per parlare con le persone...
bello il tuo post di oggi, mi fa sentire ancora più il senso del deserto che è Milano, mi sa che Forlì è proprio un bel posto...

Anonimo ha detto...

santo cielo! a Forlì non succede quasi niente, però da un po' è pienissimo di extra comunitari.Una concentrazione fortissima.Si va nella piazza principale ed è pieno di indiani, cinesi, tunisini che fumano e conversano. per chi c'è nato è una cosa molto strana.Mi sveglio guardo dalla finestra e vedo dei cinesini in strada o una bella ragazza di colore che passa.Chi l'avrebbe detto!'notte :)

Anonimo ha detto...

Solo un salutino... Presto ti scriverò! :-)

barbara68 ha detto...

deccano, avete mica bisogno di antropologi? :)(e 'notte)

effegì, hola, bentrovata! allora ti aspetto!

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  • Mille miglia lontano, Zhang Ymou
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