impossible homecoming
La luce è più densa e comincia a permeare spazi, stanze e case. Si può finalmente lasciare che una leggera brezza, che sa di aria buona, circoli dai balconi aperti. Un mescolìo di pigolare di uccelli e voci di bambini e adulti, e il grande albero che frondoso mi protegge dalla luce. Lavorare è dolce in questo pomeriggio e a questa scrivania, che è il mio kauwa-auwa, esplorando i meandri del concetto di ibridazione.
Sono affascinata tra l'altro dalla lettura di migrancy, culture, identity di Iain Chambers, uno dei primi ad avere introdotto il concetto di ibridazione. A pagina 12,nel capitolo Migrant Landscapes, Chambers cita questa frase di Edmond Jabès.
L’étranger te permets d’être toi-même, en faisant, de toi, un étranger.
Penso a De Certeau e al modo in cui si potrebbe dispiegare questa frase, ma ho altro da fare e spero e credo se la sappia cavare da sola.
15 commenti:
L'étranger te permet d'etre toi-meme, en faisant, de toi, un étranger.
Ecco un'altra risposta alla mia domandona: il viaggio.
ciao!
volendo potrei viaggiare anche nel mio condominio multietnico, pan, anche se mi inclaustro dentro casa. ma basta uscire per strada qui a milano :-) ciao!!!
non c'entra molto con il tuo post barby, ma il concetto mi fa venire in mente la domanda se noi italiani siamo o no pronti alla multietnia.
il discorso è ovviamente di enorme perplessità. L'Italia ha potuto comunque beneficiare delle esperienze degli altri paesi per pensare un suo percorso. L'integrazione comporta molta ricerca per capire cosa succede, didattica interculturale per insegnare alle persone a dialogare con gli altri, un forte coinvolgimento di supporto e mediazione delle istituzioni. Più fronti e frontiere si apriranno, più le cose potranno andare in direzione positiva, senza farsi idee utopistiche che quelle non si realizzano in nessun contesto.
C'è un enorme problema in tutto questo, secondo me, le rappresentazioni mediatiche che spesso operano reali devastazioni cognitive.
volevo dire complessità e non perplessità, chissà quale strano filo seguiva il mio inconscio in quel momento :-)
per me la mancanza di una politica colonialista ha di fatto formato gli italiani alla chiusura culturale.
bello il tuo post e il tuo blog, penso che tornerò Ciao Giulia
Antonio, sì, è vero, ma in epoca di globalizzazione e postcolonia diffusa (oltre che di neoimperialismo) le menti potrebbero anche aprirsi un tantino di più. L'India non è certo stata una colonia francese, ma il numero di traduzioni di romanzieri indiani fa impallidire i nostri etc etc.
giulia, grazie, buona domenica :-)
Bellissima la frase di Jabès e interessantissimo lo scambio di commenti. ciao
grazie, MariaS, sì, la frase è bellissima, ed è bello incarnarla. quello dello straniero sarebbe un concetto interessante su cui riflettere, mettendo insieme Simmel, Derrida, De Certeau...
A proposito di essere stranieri... anche a se stessi:
non so cosa pagherei per sapere
cosa sto tramando...!
buona settimana!
ma lo saprai... sul tuo post di domani... ciao ;-)
ma io che qsto a milano e non sono di milano posso considerarmi straniero? e, pensando a decerteau, i miei percorsi (i miei) rendono per me milano più abitabile? e se si quanto? e quali sono i miei confini? chi me li aiuta a costruire? come me li faccio? con un meccano decertiano? con un fai da te spaziale? ah lo sradicamento che brutta faccenda
lo spazio che percorri può essere la tua libertà, la tua narrazione, la tua frontiera, la tua langue, la tua personale ribellione contro la costrizione spaziale, la tua frequentazione degli interstizi. se non si è stranieri si ricade nella monotona dossicità.
how are you?
Thanks for sharing, I have digged this post
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