carne e sangue
L'estate scorsa, ero a Tunisi, occupando temporaneamente la camera di R., che era tornato a New York per qualche settimana. Ascolti dissonanti in quella camera luminosa, in un palazzo coloniale che quasi affacciava su Bab Bhar, e che dava su una delle entrate del Mercato centrale, dove era bello andare a fare la spesa tra cumuli di frutta e verdura ordinatamente raggruppati e impilati in macchie di colore, il rosso e il verde dominanti: "'Atini kilu tumatim, u nuss kilu felfel, mush barsha har, min fadlik. 'Atini dellea', atini kilu 'aineb...". Ascoltavo, dicevo, "Cantà" di Enzo Moscato, "Nine horses" di David Sylvian, le cui note nostalgiche, di rimpianto, di un passato che non tornerà mai, di un presente che ben presto sarà passato, ben si adattavano con la mia temperie interiore, in pomeriggi assolati protetti dall'aria condizionata, il balcone chiuso per sbarrare la via ai densi odori dell'oleificio che dava sul cortile interno, e dall'altro lato, dal balcone che affacciava sulla strada, il brusio incessante del passaggio continuo di persone, le grida di venditori di strada che mi affascinavano, cantilenando merci e prezzi da poco. Andavamo a Cartagine, mangiavamo pesce, comprato fresco la mattina, o la sera, sul ristorante accanto la spiaggia.
Quando N. mi chiama e mi propone di andare con lei a Kerkenah da sua cugina. Si mette i guanti bianchi per proteggersi la pelle, e partiamo. Sulla strada dell'andata e del ritorno, in direzione di el Jem, sostiamo per mangiare, in un posto dove servono 'alloush mashoui, agnello grigliato, e vendono carne, sotto un sole cocente e una tenda rossa. In Tunisia si fa spesso così, scegli la carne o il pesce che vuoi, ne paghi il peso, poi te lo cucinano. Sono un'ex vegetariana, provo spesso rigetto per la carne, e soprattutto non mangio quasi mai agnello, troppa pena, e la vista della carne nelle macellerie mi respinge con la sua crudezza, il suo odore di vita ancora quasi palpitante trasformata in pura carne, in disfacimento. Ma lì è avvenuta una metamorfosi temporanea. Gustavo avidamente le costolette che bruciavano le dita, alternando la carne con bocconi di fresca insalata tunisina colta con il pane e un dito, pomodori, cipolle e cetrioli tagliati in pezzetti finissimi, assaisonnée con un olio dal sapore forte. Ed ero allo stesso modo inebriata dalla vista di tutta quella carne che ancora sussultava, agnelli appena uccisi che venivano portati dal retro e spezzettati in macelleria, venduti in buste trasparenti, e mi sembrava che tutto, tutto palpitasse e si muovesse. Il rosso, il calore, la carne, tutto si componeva, tutto si accordava, ed è in questa sorta di stato di trance, di concentrazione e compenetrazione in tutto questo, che ho scattato le foto, affascinata dalla scena, o forse è stato lo sguardo influenzato dalla macchina fotografica a farmi concentrare così, pervasa dall'odore di carne fresca e bruciata, avvolta dal calore avvampante, nel rosso.