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sabato 28 luglio 2007

palazzo yacoubian

Ho letto Palazzo Yacoubian in tre giorni. Ieri ho deciso che non mi sarei alzata dalla sedia finché non l'avessi finito. 'Ala al Aswani è un magistrale narratore, che tiene con consumata sapienza le fila delle storie di diversi personaggi, spezzettate in piccoli paragrafi che lasciano il lettore in sospeso, e con la voglia di procedere velocemente e a lungo per saperne di più. E' un fine conoscitore e tracciatore di psicologie, che descrive i suoi personaggi distinguendo la facciata dalla personalità che vi si cela dietro. Personaggi dalle molte facce in realtà, poiché mostrano una personalità dinamica, che muta al variare delle situazioni. E' bravissimo, a mio avviso, a mettersi nei panni di una donna, e anche di un gay, nel senso di descrivere i loro sentimenti, motivare le loro azioni. La diffusa definizione di comédie humaine per questo romanzo mi lascia perplessa. Ricondurre al noto può essere un'operazione di traduzione, un modo di dire che gli altri, per quanto lontani sembrano, sono come noi. Ma può essere anche una riduzione, che non mette in luce le specificità della narrazione. Leggo la citazione di una recensione sulla quarta di copertina, e un vago senso di malessere mi coglie a causa della tipizzazione dei personaggi, quasi una loro ontologizzazione: una prostituta, un terrorista islamico, un giornalista gay...
In realtà quello che al Aswani mette in luce sono una serie di dinamiche e complessi contesti che costituiscono una parte consistente dello sfondo dell'Egitto di oggi.
Per Taha, il "terrorista", è il sistema di stratificazione sociale rigido, penetrabile solo dalla corruzione, a far sì che il ragazzo, figlio dell'umile portiere dell'immobile Yacoubian, si veda rifiutato a causa di questo l'ingresso in polizia. Stanco delle umiliazioni, dell'essere in disparte, trova rifugio come tanti, tantissimi, in un irrigidimento della devozione religiosa, in un sistema di senso che gli dà conforto, lo spinge ad alzare la testa, gli dà le chiavi di accesso ad una critica e contestazione del sistema esistente. Se non si comprende questo, se non si comprende il cocente senso di delusione per le mancate promesse della modernità e della democrazia, non si comprendono i dilaniamenti del mondo arabo contemporaneo, in cui in molti paesi si è intrappolati in un perverso meccanismo. La mancanza di democrazia ha fatto nascere l'islamismo, ma l'islamismo attuale non consente elezioni democratiche, perché queste porterebbero con gran probabilità all'instaurazione di governi islamici letti dalla sharia''. Catturato dalla polizia, torturato e umiliato, Taha si vota alla morte, dopo essere già stato ucciso socialmente, in molti modi.
La storia di Hatim bey, il giornalista gay, è una storia di omofobia e di ipocrisia sociale al tempo stesso. Mostra come due persone, Hatim e il suo amante, passino dall'affetto a un mortale conflitto, per i sensi di colpa del secondo, che gli impediscono di vivere serenamente la sua omosessualità. E mostrano come sia dura la vita di una persona che è costretta a cercarsi amanti occasionali, dai quali viene magari maltrattata e derubata, e tutto il suo fondo di disperazione compresso che alla fine erompe in modo distruttivo.
Ma i personaggi che mi interessano di più sono le due donne, Bouthaina e Su'ad. Bouthaina non è una prostituta, è piuttosto una donna costretta ad accondiscendere alle molestie sessuali, un fenomeno amplissimo e sottaciuto nel mondo arabo. C'è chi me ne ha raccontato qualcosa. Nel mondo dell'insegnamento, del lavoro, capita alle donne con elevatissima frequenza di essere soggette ad avances più o meno velate o insistenti. Bouthaina non è dunque che una vittima di una vastissima ipocrisia sociale, costretta a cedere per far sopravvivere la famiglia, e con l'obliquo beneplacito della madre. Su'ad è una vedova che si sposa con il ricco Hagg Azzam, più recitando la parte della concubina clandestina che della moglie, per mantenere il figlio. Il suo tentativo di riscattarsi e acquisire legittimità cercando di avere un figlio, al quale spetterebbe un riconoscimento ufficiale e parte dell'eredità, viene stroncato con brutalità. Entrambe sono donne costrette a concedersi sessualmente agli uomini, e la sostanza non cambia se nel secondo caso è in forma legale, per questioni di sopravvivenza.
Il romanzo mostra chiaramente l'intreccio tra corruzione, disonestà e ipocrisia religiosa, di cui Hagg Azzam, che vende vestiti islamici e distribuisce carne ai poveri, è un lampante esempio. E dietro il "gran capo" al vertice di un capillare sistema di tangenti non è improbabile che si alluda al Presidente in persona.
Palazzo Yacoubian fornisce il quadro di un'umanità desolante, in cui anche uno storpio può usare la sua infermità per manipolare e imbrogliare, e in cui le persone sembrano poter cambiare solo in peggio. Eppure il finale mostra una sorprendente apertura alla possibilità di riscatto, di amore e poesia, alla possibilità che esistano uomini sensibili e delicati. E non ho raccontato di Zaki bey, che è il personaggio più sorprendente, perché voglio che lo scopra chi legge il libro. E' un caso se Zaki, il personaggio migliore del romanzo, è il discendente di una famiglia dell'entourage beilicale, che rimanda a un'Egitto plurietnico e plurilinguistico, per il quale al Aswani sembra avvertire della nostalgia? Alla storia trovo però due pecche: il non aver fatto accenno alcuno al fenomeno dell'escissione, che sembra riguardi in Egitto una percentuale di donne vicina al novanta per cento. E che si parli in maniera riduttiva del conservatorismo islamico che sembra estendersi in Egitto sempre di più, riconducendolo ad una deriva terroristica, e non mostrandone la penetrazione nel quotidiano. Ciononostante, è sicuramente uno dei migliori libri di narrativa che siano apparsi almeno da due anni a questa parte.

venerdì 27 luglio 2007

anch'io anobii!!

Ieri, mentre compravo libri, mi è balzata alla mente questa idea: li metterò su Anobii. E, nel farlo, ho compreso che presto sarò presa dalla vertigine catalogatoria. Perché, al di là delle minuziose critiche mosse alla biblioteca virtuale, è bello vedere i propri libri allineati lì, disciplinarsi dandosi programmi e scadenze di lettura, gongolare sia quando vedi che i tuoi libri non ce li ha nessuno, sia quando vedi che ce li hanno pochi altri. E poi vedere altri libri. Io quando vado per librerie mi devo contenere. Ieri mi sono fatta un giretto dopo lunghe ore passate in biblioteca, e ho comprato Il Corano in edizione Utet, con traduzione di Gabriele Mandel e testo arabo a fronte (libreria Rizzoli in Galleria), avevo già sia l'edizione originale presa a Tunisi che quella tradotta da Campanini, ma così è più comodo. Sconosciutissimo ad Anobi. Puis, Londonstani in versione originale, un Boris Cyrulnik, teorico della resilience, cioè l'arte di sopravvivere al dolore creando un buon mondo intorno a sé (entrambi in Feltrinelli international), William Blake, Il matrimonio del cielo e dell'inferno, di quella deliziosa collana di piccoli Se che prima o poi esaurirò tutta (lo spacciatore di libri nuovi, inediti e recenti al 50%). Ho rinunciato alla Craveri perché l'edizione tascabile della Civiltà della conversazione proprio non mi piace, e spero di trovare la brossura a metà prezzo in uno dei miei luoghi di spaccio librario; al libro di Kiran Desai in inglese, perché una rapida occhiata mi ha suggerito che non è cosa urgente; a quello di Némirowsky in edizione Folio Gallimard, perché non rientra nei miei interessi del momento, infine alla raccolta di racconti brevi di Edoardo Sanguineti, Smorfie, a metà prezzo, perché devo operare rigorosissime selezioni.
Ovviamente si fornisce ad Anobii una marea di dati per il marketing, dove compri i libri e di che tipo, quali ti piacciono e non e perché, ma per Douglas e Isherwood il consumo è anche un modo per creare cultura, dunque penso che io come molti altri anobizzati possiamo contribuire ad una migliore cultura editoriale e alla politica delle librerie, almeno me lo auguro.
La mia bookshelf virtuale è barbara34, visto il mio disperdermi in varie diramazioni numeriche forse avrei potuto mettere 17, ma porta male.

giovedì 26 luglio 2007

partir, encore

Sono arrivata alla conclusione di Partir, e vi ho trovato, salve le non lievi critiche che che ho già mosso a questo romanzo e altre che ne farò, degli elementi interessanti. Le vicissitudini dei personaggi principali, i due fratelli Azel e Kenza, appaiono motivate da quelle che sono le rappresentazioni e le aspettative di cui la società di accoglienza fa carico al migrante: partire, avere successo e far soldi, tornare da eroi, mai da sconfitti, fondare una famiglia, avere dei figli. E' la radice di un profondo disagio psicologico, per il quale, commenta sconsolatamente l'autore, non vi sarà nessun divano di psicoanalista, perché questa pratica non è nella tradizione culturale degli arabi, e su questo vi sarebbe da dire, ma passo avanti. L'idea della vergogna, del non aver compiuto il percorso ideale prescritto, tormenta Kenza e Azel, portandoli fino ai livelli più bassi dell'esistenza, impedendo loro di fondare una vita costruttiva altrove, di espandere le possibilità del proprio Sé. Vi è quindi una critica profonda e radicale mossa alla staticità della società marocchina, al suo condannare uomini e donne a ruoli prefigurati, talora difficilissimi da indossare.
Eppure, mi chiedo, invece di prefigurare percorsi biografici così catastrofici, perché non parlare di delicati e complessi percorsi di vita in cui si media, cautamente, la tradizione con scelte innovative? Come quelle donne marocchine sposate che partono, loro per prime, certo, una minoranza. O come quella donna che ho intervistato e che, arrivata in Italia, aveva lì conosciuto e sposato un marocchino, e gestiva insieme a lui un bar frequentato soprattutto da compaesani, ce qui pour une femme arabe n'est pas évident, conciliando la tradizione con profondi cambiamenti.
E poi, mi chiedo ancora, è possibile operare una lettura profonda e articolata dei testi sulla migrazione che sia solo teorica, che non derivi dall'essersi addentrati in questi percorsi di vita, e nel dispiegarsi quotidiano delle abitudini, qui e lì, senza aver praticato dunque un'antropologia multilocalizzata? Si può ridurre tutto all'analisi del solo testo, concepito come autonomo? La mia risposta è no, perché qui, come mai, la vita e lo sguardo dell'autore sono profondamente embedded, per usare un termine che rende l'idea, in un ampio contesto storico e culturale.
Torniamo alle notazioni di carattere letterario. La conclusione del romanzo, con le riflessioni che vi si accompagnano, è frutto di un vistoso détournement della trama. Si arriva ad un certo punto del romanzo in cui la madre di Azel e Kenza dovrebbe raggiungerli in Spagna. In seguito questa ipotesi sparisce, scompare nel nulla, Kenza deciderà di rientrare, Azel muore ma a quel punto l'intreccio, con le possibili conseguenze si interrompe, si dissolve. Possibile che nessun editor si sia accorto di questa marchiana incongruenza? E l'autore?
La chiusa, tuttavia, mi piace, la trovo molto poetica, e certamente utopica, vi compare l'immigré anonyme, mi sembra, in fondo, metafora di una condizione umana ampiamente condivsa, e la riporto qui: "Cet homme est celui qu'a été ton père, celui que sera ton fils, celui que fut aussi, il y a bien longtemps, le Prophète Mohammed, nous sommes tous appelés à partir de chez nous, nous entendons tous l'appel du large, l'appel des profondeurs, les voix de l'étranger qui nous habite, le besoin de quitter la terre natale, parce que souvent, elle n'est pas assez riche, assez aimante, assez généreuse pour nous garder auprès d'elle. Alors partons, voguons sur les mers jusu'à l'extinction de la plus petite lumière que porte l'âme d'un être, qu'il soit d'ici ou d'ailleurs, qu'il soit un homme de Bien ou un être égaré possédé par le Mal, nous suivrons cette ultime lumière, si mince, si fine soit–elle, peut–être que d'elle jaillira la beauté du monde, celle qui mettra fin à la douleur du monde".

martedì 24 luglio 2007

disparaître dans la nature

Per diminuire l'imbarazzo della scelta sulla mia biblioteca portatile estiva, ho deciso di leggere a casa D'acque dolci di Fabienne Kanor, storia di immigrazione e seconda generazione antillese, tra madri e padri consunti dalla vita, tentativi di passare inosservate, stirandosi a morte i capelli, déchirure irreparabile tra uomini bianchi che non si può e non si vuole avere, per non ricadere nella trappola coloniale, e uomini neri violenti, ma alla cui attrazione non ci si riesce a sottrarre. Storia che finisce, anzi inizia male, con l'omicidio del proprio amante, dispositivo già utilizzato da Leila Marouane nel Castigo degli ipocriti, e lì molto più simbolicamente truculento. Insomma, vedo la ripetizione di eterne formule e questo mi tedia, come mi sta tediando Partir di Tahar Ben Jelloun, storia amara e nichilista sull'emigrazione, in cui nessuno dei protagonisti arriva da nessuna parte, e tutti alla fine muoiono, in un finale visionario, che è un tipo di stile di cui non riesco ad avvertire il senso. Vorrei qualcosa di meno attendibile da questa letteratura.
Ma quello che volevo dire, è che a p. 50 della Kanor sono piuttosto sobbalzata nel leggere di un'amica di Frida, la protagonista, che "sparisce nella natura" con un uomo che poi la prenderà a cinghiate durante il sesso. Si tratta della traduzione pêle–mêle dell'espressione francese disparaître dans la nature, cioè sparire (anche nel nulla), dissolversi, e quindi anche essere biodegradabili, riciclabili. Cerco su google, nessuno si è mai sognato di usare quest'espressione in italiano. Mi chiedo se si possa tradurre in questo modo per ampliare le possibilità espressive dell'italiano, a me per esempio piace scrivere "che non è senza ricordare" come trasposizione di ce qui n'est pas sans rappeler. Ma la nature no, temo che in italiano non se ne capisca il senso. Voi che ne dite? Quanto a me, dans quelque jour je vais disparaître dans la nature pendant quelque temps, le mie incursioni nel net si diraderanno, fino a sparire in Tunisia, dove a Mahdiya l'anno scorso abbiamo cercato invano un centro Internet, che sembrava sempre essere a cento metri da noi, secondo le indicazioni. Indosserò il mio numero di cellulare tunisino per salutare gli amici e vivrò per un po' in un'altra dimensione. Quindi, chi ha qualcosa da dire ha tempo fino alla fine del mese, altrimenti buone vacanze e ci si rivede, o piuttosto riscrive, al ritorno.
(la foto è stata presa a Kerkenah, e là, veramente si ha l'impressione di perdersi nella natura, chilometri di spiagge brulle, poche case distanziate, silenzio assoluto, forse un giorno racconterò dei miei giorni passati lì, intensi e rivelatori, tra donne).

film à ne pas rater

  • Come l'ombra, Marina Spada
  • el-Jenna alan, Paradise now, Hany Abu-Assad
  • Il segreto di Esma, Jasmila Zbanic
  • Inland Empire, David Lynch
  • La vita segreta delle parole, Isabelle Coixet
  • Mille miglia lontano, Zhang Ymou
  • Rosetta, Jean-Pierre e Luc Dardenne

letture

  • Amitav Ghosh, circostanze incendiarie, Neri Pozza
  • Aminatta Forna, Le pietre degli avi, Feltrinelli
  • Studio Azzurro. Videoambienti, ambienti sensibili
  • Rick Moody, I rabdomanti, Bompiani
  • Claire Castillon, Veleno, Bompiani
  • Werewere Liking, La memoria amputata, BCD editore
  • Antonio Pascale, La manutenzione degli affetti, Einaudi
  • Simon Ings, Il peso dei numeri, Il Saggiatore

ascolti dalla a alla zebda

  • Aida Nadeem, Out of Baghdad
  • Alessandro Scarlatti, Giovanni Bononcini, "Andate, o miei sospiri"
  • Amine e Hamza M'Rahi, Asfar
  • David Sylvian, Nine horses
  • David Sylvian, tutto
  • Diego Ortiz, Ad Vesperas, Cantar Lontano
  • Domenico Gabrielli, Opera completa per violoncello
  • Emanuela Galli, Gabriele Palomba, Franco Pavan, Languir me fault
  • Eric Truffaz, Mounir Trudi, Face-à-face
  • François Couperin, Leçons de Ténèbres
  • Gianmaria Testa, Extra-muros
  • Henry Purcell, Fantazias, Rose Consort of viols
  • Hildegard von Bingen, Canti estatici
  • J.S. Bach, Soprano Cantatas, Cappella Istropolitana
  • Japan, tutto
  • Marc Antoine Charpentier, Salve Regina
  • Marin Marais, Pièces à deux violes 1686
  • Mario Biondi (essì, Mario Biondi)
  • Paolo Conte, Elegia
  • Ray Lema, Mizila
  • Rose consort of viols, Elizabethan songs and consort music
  • Sonia M'Barek, Tawchih
  • Vengeance du rap tunisien
  • Violent femmes, Violent femmes (purissima goduria)
  • Zebda, Essence ordinaire

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