Londonstani
Gautam Malkani è minuto, l'aria gentile, e nonostante sia stanco si spende generosamente per spiegare la natura delle relazioni etniche a Londra, la subcultura hip hop dei giovani British Asians. Mi fa pensare a Jas, l'io narrante del suo libro, un adolescente quasi giunto a maggiore età, timido e studioso, che viene "adottato" da una crew di giovani gangsta, il cui capo, Harjit, è un muscolosissimo sikh che pratica quattro arti marziali. I suoi amici, Gautam li ha intervistati, poi da queste interviste è venuta fuori la tesi di laurea in Scienze Politiche a Cambridge, e infine l'idea di scrivere un romanzo, perché troppo rimaneva fuori. Eppure è modesto, del libro, della macchina narrativa, non gli interessa raccontare, gli preme descrivere una realtà, gli occhi lievemente febbricitanti per questo. Mi interessa molto questo tipo di scrittori ben preparati dal punto di vista concettuale, che non pongono cesure nette tra analisi e narrazione, due componenti che si rafforzano reciprocamente, con la narrazione che ne trae forza descrittiva ed evocativa. Londonstani andrebbe letto in inglese, uno slang serratissimo infarcito dei termini hindi, punjabi e urdu che i giovani British Asians hanno recuperato. La traduzione, purtroppo e necessariamente, non può rendergli giustizia. Leggerlo è veramente arduo, ma ne vale la pena per chi può. Io ho cominciato in inglese, ho proseguito in italiano per sveltirne la lettura in vista dell'intervista, e ora finirò in inglese. E' veramente gentile Gautam, alla fine dice a me e anche al traduttore, un insegnante di storia e filosofia che fa il volontario al Festivaletteratura da quattro anni, di farci dare il suo indirizzo, e di andarlo a trovare se passiamo da Londra. Continua a vivere a Hounslow, il sobborgo di Londra solcato dagli aerei che fanno base a Heathrow. Spero che rimanga così, che il successo non lo corrompa. Una figura, del libro, mi piace ricordare, in questi tristi giorni di compatti e trasversali sollevamenti xenofobi nutriti di slogan che sostituiscono i ragionamenti, tesi a eliminare qualsiasi marginalità, qualsiasi forma di contestazione al potere, qualsiasi pratica che disturbi un'idea di ordine sociale, non fosse che con la sua visibilità. Perché a me sembra che questo, soprattutto, si voglia eliminare, la visibilità dei marginali. La lezione di Mary Douglas è ancora pienamente valida. Il disordine, vale a dire ciò che non è classificato,che è appunto fuori dai confini, fuori dai margini, è avvertito come pericolo. E dunque, che si ristabilisca la purezza, e con essa l'ordine. Penso alle due prostitute rumene uccise, fatte a pezzi, di cui si è data notizia oggi, agli zingari sgomberati ieri a Milano, i bambini che frequentavano la scuola, e ora? La figura, dicevo, di Mister Ashwood, ex insegnante dei ragazzi della crew, pervaso ancora da una indomabile spinta all'impegno sociale, le pareti tappezzate di foto degli alunni della sua scuola, e che cerca di far di tutto, anche quando sono diventati dei teppisti, anche quando lo insultano, per far capire loro che possono arrivare da qualche parte solo impegnandosi nello studio, passando per le istituzioni.