A me, per quei singolari meccanismi delle associazioni mentali, il nome Buràn mi rimanda a borhan, la prova che un wali, una sorta di santo musulmano, mediatore tra gli uomini e Dio, dà della sua forza, soprattutto in situazioni di crisi e conflitto, smuovendo quindi il tessuto delle leggi ordinarie. Buràn, giornale online dalla raffinata veste grafica che opera mediazioni tra vite e forme di creatività e di espressione in rete, è un po' una dimostrazione della forza della rete di dar vita a un intreccio di voci che brulicano incessantemente nel mondo, si trasmettono attraverso il tempo, lanciate, esposte dagli angoli più disparati. Buràn è un portale, una conurbazione che apre porte su flussi di coscienza, scritture disseminate, io narranti che non delegano più ad altri il compito di parlare per loro, di far cronaca da dietro un vetro e provvisti di pinze. Crocevia autobiografici in cui vediamo continuamente la Storia intrecciarsi con singole esistenze, afferrando la portata di questo movimento prima di ogni concettualizzazione teorica, parole vissute nella carne di corpi e di luoghi, di cangianti configurazioni spaziotemporali. E che in questo numero, dedicato al conflitto, ci mostrano attraverso occhi di altri come il conflitto, a livello politico, storico, individuale e interpersonale può essere vissuto, aiutandoci a tracciare un quadro di somiglianze e differenze inestricabilmente intrecciate. Buràn è un porto, un sito di sosta temporanea da cui avviare cammini di erranza seguendo le tracce di chi ha già tracciato un percorso, arrivando a destinazioni sconosciute, rendendole note, ricreando i discorsi in lingua italiana. E' una delle possibili strade che la logica del dono e dello scambio, dell'ascolto sensibile della voce dell'altro, del coinvolgimento immaginativo in vite altrui può prendere in rete. Che non è poi altro che una dimensione rivelatrice della ricchezza, complessità e stratificazione delle vite.