partecipo al progetto

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ibridamenti.splinder.com

mercoledì 17 ottobre 2007

a proposito, ho traslocato

ho deciso di traslocare qui. Mi sembrava un posto comodo. magari ogni tanto posterò qui qualcosa, foto ad esempio. a presto.

venerdì 12 ottobre 2007

'Aidkum mabrouk!!

In questi giorni ho trascritto delle interviste per una relazione in ritardissimo che devo consegnare. Tra cui quelle a B. e S., marito e moglie siriani, fatte circa ad un mese di distanza, durante e dopo il Ramadan. Si tratta di musulmani piuttosto ortodossi, lei porta lo hijab, frequentano quotidianamente o quasi la moschea, evitano di restare da soli con un non parente dello stesso sesso per paura che Shaitan si possa insinuare tra di loro. E' un matrimonio combinato, eppure quanta delicatezza, quanto rispetto da parte di B. per la moglie, per il suo livello culturale, per il fatto che vorrebbe che lei migliorasse l'italiano (non lo parla quasi) e si inserisse in società, perché per lui non è certo la cosa più importante che lei cucini e tenga pulita la casa. Mi commuovo per i sentimenti che queste due persone mi hanno consegnato, paure, speranze, conflitti, squarci di vita intima interiore e familiare. Poi riascolto la parte in cui B. mi racconta della sua attenzione per la vicina, che lavora sempre, con un fratello handicappato. E del fatto che le ha voluto fare un regalo a Natale, per quanto i loro rapporti siano quasi inesistenti. E però si rammarica che né lei, né nessuno gli abbiano fatto gli auguri dell'Aid. Questo mi ricorda che proprio in questi giorni (il potere delle coincidenze) dovrebbe essere l'Aid. Oggi in piscina mi dico che dovrebbe essere oggi o domani. E passando dal macellaio egiziano a comprare l'acqua glielo chiedo: "Quand'è l'Aid". "Oggi". "'Aid Mabrouk allora". "Ma tu conosci l'Aid allora, e il Ramadan e tutto?". "Sì, ho amici arabi, e poi ho passato il Ramadan due volte in Tunisia". "Grazie signora grazie". Me lo ripete sorridendo due volte, tutto contento, mentre esce apposta fuori dal bancone per salutarmi. Penso che magari chiamo A. e scrivo a M., per far loro gli auguri.
Avevo portato a casa di B. delle caramelle per la figlia, e B., quando ci siamo congedati, mi ha detto che non poteva lasciar partire un'ospite senza fare un dono, perché in Siria si fa così. Mi ha dato un portapenne con un disegno simile a quelli tradizionali su ceramiche e stucchi, con su la scritta di Aleppo, la sua città, che è sulla mia scrivania, e sei bicchieri con il bordo d'oro, che serbo ancora. ('Aid el Fitr (ftur, pasto, la rottura del digiuno)o Sghrir, piccolo, è la festa che chiude il Ramadan, in cui si danno elemosine e si offrono pasti ai poveri, si comprano montoni da sacrificare e distribuire, ci si scambia regali e si comprano i vestiti nuovi per i bambini).
postilla: mi si dice che in Egitto l'Aid si festeggia domani. Insomma, c'è ancora tempo per fare gli auguri.

domenica 7 ottobre 2007

t'amo mia vita, la mia cara vita



Dolcemente mi dice, e'n questa sola
Sì soave parola
Par che trasformi lietamente il core,
Per farmene signore.
O voce di dolcezza, e di diletto, Prendila tosto Amore:
stampala nel mio petto.
Spiri solo per lei l'anima mia,
T'amo mia vita, la mia vita sia.

(Luzzasco Luzzaschi (1547/1607), Concerto delle Dame di Ferrara, madrigali a uno, due e tre soprani, harmonia mundi)

ps: se qualcuno mi aiuta a metter su i files musicali gli do un premio. che io, delle spiegazioni datemi a suo tempo, non ci ho capito niente.

venerdì 5 ottobre 2007

sono da ibrid@menti

Sono reperibile qui, dove parlo di narrazioni personali, di scambio e circolazione di racconti che si snodano tra passato, presente e futuro, di sguardi e ascolti reciproci, di disegni delle vite delle persone, di inedite identità, dell'efficacia simbolica e poietica della parola (e dei segni), delle sue possibilità rivelatrici.

mercoledì 3 ottobre 2007

è nato ibrid@menti

Ho cominciato a scrivere in rete, dopo aver ignorato a lungo il fenomeno, mentre mio marito aveva già iniziato da tempo, attratta dai discorsi interessanti e creativi che vi si dispiegavano, dalla possibilità di conoscere persone ricche, appassionate e interessanti, con le quali intessere discorsi che rendevano la mia casa, dove lavoravo, un nodo di una rete estesa e articolata di relazioni. Per certi versi non è stato facile, perché mi sono trovata a dibattermi nei dilemmi della convivenza tra parti del mio Sé che normalmente erano separate dalla mia persona pubblica, quella di antropologa, e per la quale pensavo fosse giusto mantenere un certo livello di formalità, se così si può dire. Le negoziazioni tra i Self continuano, ma posso dire che il fatto di avere un blog mi ha permesso di integrare diversi aspetti del mio Sé. Poiché però non posso fare a meno, nel vivere, di osservarmi e di osservare, e di interpretare secondo le categorie e i filtri analitici che costituiscono parte integrante di me, ho sempre pensato che sarebbe stato bello poter raccontare gli aspetti ricchi, innovativi e profondi del mondo della comunicazione in rete. Saluto perciò con profonda contentezza la nascita di ibrid@menti, nato da un'idea di intelligenza connettiva e con la partecipazione di william nessuno, e che inaugura un dialogo collaborativo e creativo tra l'università, in questo caso la Cà Foscari di Venezia, e le persone che, mettendosi in rete, hanno assunto in prima persona la responsabilità delle loro prese di posizione, hanno messo in circolo sguardi sul mondo, condiviso le loro vite, espresso forme di creatività, rendendo il quotidiano di tutti più ricco. L'università si apre al mondo, divenendo permeabile. Tra i partecipanti al blog ci sono molte persone che conosco. Per una serie di strane coincidenze e di intenzioni, la nostra rete si è stretta intorno a ibrid@menti.Ma credo che il parere di tutte le persone con cui ho dialogato da quando ho aperto questo blog sarebbe prezioso, perciò le invito caldamente a farlo. L'immagine di Oeils murales, che a me piace tantissimo, è di Will. Con un augurio di un fruttuoso ibridamento a tutti, comunque accada.

martedì 2 ottobre 2007

in cui si parla di borhan


A me, per quei singolari meccanismi delle associazioni mentali, il nome Buràn mi rimanda a borhan, la prova che un wali, una sorta di santo musulmano, mediatore tra gli uomini e Dio, dà della sua forza, soprattutto in situazioni di crisi e conflitto, smuovendo quindi il tessuto delle leggi ordinarie. Buràn, giornale online dalla raffinata veste grafica che opera mediazioni tra vite e forme di creatività e di espressione in rete, è un po' una dimostrazione della forza della rete di dar vita a un intreccio di voci che brulicano incessantemente nel mondo, si trasmettono attraverso il tempo, lanciate, esposte dagli angoli più disparati. Buràn è un portale, una conurbazione che apre porte su flussi di coscienza, scritture disseminate, io narranti che non delegano più ad altri il compito di parlare per loro, di far cronaca da dietro un vetro e provvisti di pinze. Crocevia autobiografici in cui vediamo continuamente la Storia intrecciarsi con singole esistenze, afferrando la portata di questo movimento prima di ogni concettualizzazione teorica, parole vissute nella carne di corpi e di luoghi, di cangianti configurazioni spaziotemporali. E che in questo numero, dedicato al conflitto, ci mostrano attraverso occhi di altri come il conflitto, a livello politico, storico, individuale e interpersonale può essere vissuto, aiutandoci a tracciare un quadro di somiglianze e differenze inestricabilmente intrecciate. Buràn è un porto, un sito di sosta temporanea da cui avviare cammini di erranza seguendo le tracce di chi ha già tracciato un percorso, arrivando a destinazioni sconosciute, rendendole note, ricreando i discorsi in lingua italiana. E' una delle possibili strade che la logica del dono e dello scambio, dell'ascolto sensibile della voce dell'altro, del coinvolgimento immaginativo in vite altrui può prendere in rete. Che non è poi altro che una dimensione rivelatrice della ricchezza, complessità e stratificazione delle vite.

sabato 29 settembre 2007

il sabato della serendipity

Le immagini mentali mi affascinano per il loro modo sintetico e immediato di presentare situazioni, rappresentazioni e concetti, porgendoli ad una immediata comprensione. Io la serendipity fino ad oggi me la visualizzavo come una pallina da ping pong che rimbalzava casualmente di qua e di là. Oggi mi è venuto più da pensare ad una serie di palle da biliardo (avvenimenti, coincidenze) che colpiscono le sponde del biliardo (i lati del Sé, gli interessi, le relazioni, dove non si sa se le palline si dirigono verso le sponde in virtù di qualche intenzione o sono le sponde ad attrarle), perché di serendipity ce n'è stata un grappolo, un cluster, che questa parola mi piace assai.
Vado alla biblioteca Bizzozzero (si chiama proprio così!) di Parma per cercare delle citazioni in un libro. Ora, divagazione, la biblioteca Bizzozzero, e soprattutto l'emeroteca civica accanto, è un posto incredibile. Si possono leggere tutti i giornali del momento, e vedere tutte le ultime uscite librarie del periodo, consultare Internet, prendere in prestito video e dischi. Adocchio un libro, Narrazione e sviluppo psicologico, trovo il nome di Bion, che già era saltato fuori qualche giorno fa cercando in rete delle cose su Jabés (di cui ho trovato poco, se non, cosa molto interessante, che è usato nella psicoanalisi bioniana), e le cui teorie un mio collega ha usato per un lavoro sulla musicoterapia, e prendo appunti. Esco, vado al bar a vedere Internet, do il tesserino da giornalista al barista, e scopro che lui è un napoletano di via Kerbaker, praticamente un vicino di casa, e che da poco è partito un suo ospite che abita nella mia stessa strada. Il barista mi porge il programma di Ottobre africano, una manifestazione che durerà dal 3 al 30 ottobre. Lui ospiterà un paio di avvenimenti nel suo locale. Il mondo è una rete.

venerdì 28 settembre 2007

ghmouq el ward

Quanta poesia in questo termine, "il tempo velato che accompagna la stagione delle rose" (ward, al singolare in quanto nome collettivo di specie). In dialetto tunisino, l'espressione ghmouq el ward (con gh che si pronuncia come una r arrotata, e la q che si pronuncia con un suono da chioccia emesso dalla parte bassa della glottide) indica il tempo di certi giorni di primavera, dalle nubi alte e bianche, che hanno l'effetto di attenuare la calura crescente.
Questo tempo veniva attribuito alla saggezza divina, grazie alla quale le rose rimanevano al riparo dal sole. Scorgo in questa concezione quella che può essere l'incredibile delicatezza della cultura araba, il profondo amore per i fiori, per le brezze (non a caso forse la radice di ruh, anima, è la stessa di riha, vento).
Questa credenza ha dato vita ad una recitazione poetica messa in forma da Mourad Sakli, nella quale una rosa, una nuvola e la luna dialogano tra loro, evocando l'interminabile lotta dei contrari, e che oppone la bruttezza alla bellezza, la speranza alla disperazione, l'individualismo all'altruismo. La storia prende avvio da una paura della morte, che si trasmuta in un attaccamento più forte alla vita, grazie all'amore.
L'ho comprato, questo disco, nel negozio di Sufian, che si chiama addiwan, nella medina di Tunisi, e ora lo ascolto, dicendomi che appena ho tempo chiedo a qualche conoscenza tunisina di aiutarmi a tradurlo.

lunedì 24 settembre 2007

poesia urbana

Milano, zona Corvetto. In chiesa oggi c'è il banco alimentare, canute dame agées di San Vincenzo, gambe gonfie, varici a vista, golfini sformati, capelli sottili ed elettrici, parlano con donne arabe, una chiede i pannolini per il figlio, il marito non lavora, la signora vicino a me sospira, ma perché non torna a casa?
Nell'uscire incontro sul cancello, magra, fluttuante in un'ampia lunga veste, il viso infantile contornato dall'hijab, una donna che avevo intervistato qualche mese fa, in un mese cupo in cui imperversava un triste festival dei fiori, che da anni escludo pertinacemente dai miei orizzonti mentali. A. ha un bambino con una malattia cronica rarissima, tutta la famiglia è a Milano perché possa essere curato. Mi riconosce, mi sorride, mi chiede perché poi non mi sono fatta più vedere, mi dice "ma perché non sei più bianca come prima"? Va dal dottore perché lei e il marito hanno la febbre. Ci sforziamo di parlare lei in italiano, io in arabo, rendendomi conto che pronuncia e vocaboli tunisini non sono così comprensibili alle orecchie di un egiziano. Le prometto che tornerò presto.
Una piazza rotonda, al centro un'aiuola spoglia, strade a raggiera intorno, come tante altre a Milano, parto di menti desolate e spente pianificazioni urbanistiche. A ridosso della pensilina dell'autobus, alcune cassette di uva nera, e una dai floridi mazzi di basilico. Le vende un anziano sdentato signore, mi chiede se li voglia tutti, gli dico che vado in giro e non posso. Mi racconta, sorridendo, che abita in zona e quelli sono i prodotti del suo orto. Come se non mi avesse sentita, mi invita a prendere una cassetta d'uva. Prometto anche a lui che tornerò, e mi congedo con in borsa un frondoso mazzo di basilico che spanderà vicino a me il suo intenso profumo per tutta la giornata.

domenica 23 settembre 2007

circoli virtuosi

Ci troviamo tutti riuniti, una compagnia che va ad assistere alla presentazione del libro di un amico a "Parole nel tempo" a Belgioioso, attorno alla tavola di una coppia siciliana dalla casa bella ed essenziale che ci ospita per uno "spuntino" di caponata, salame, caciocavallo silano e molto altro. Una psicoanalista, un'addetta stampa, una persona che lavora nell'intercultura, due in un festival del cinema, un giornalista che si occupa di editoria, una poetessa, una pittrice. Si comincia a parlare di leggere i libri a scuola, la psicoanalista dice che le case editrici dovrebbero far qualcosa, ci si mette a citare iniziative delle librerie in tal senso, ci si chiede quale debba essere il ruolo degli insegnanti, come fronteggiare il bullismo, e io dico che ci vorrebbero delle competenze trasversali, qualcuno che abbia competenze da educatore, nozioni di psicologia, che si occupi specificamente di questo. L'addetto stampa che per un periodo ha insegnato dice che vorrebbe dedicarsi a questo compito riallacciandosi in qualche modo alle sue competenze di insegnante. Il giornalista dice che si dovrebbe far leggere agli studenti delle cose vicine al loro mondo, al loro pensiero, farli appassionare. La psicoanalista ricorda che quando insegnava portava libri da leggere e commentare in classe, i suoi turbolenti ragazzi si rilassavano. Delle idee si possono mettere insieme così, molto semplicemente, a tavola, tra persone che uniscono competenze, idee e interessi con uno spirito collaborativo. Ne uscirà qualcosa? Solo il tempo lo dirà, ma intanto qualcosa è stato messo in comune, e si è creato un discorso, e una piccola rete di nuovi legami.

giovedì 20 settembre 2007

dietro le apparenze


Ieri sono andata a intervistare Marina Litvinenko insieme ad Alex Goldfarb, il dissidente amico di famiglia che ha scritto buona parte del libro "Morte di un dissidente", che in Italia è pubblicato da Longanesi, ed è uscito in Gran Bretagna ad appena sette mesi dalla morte di Aleksandr Litvinenko. Il libro è estremamente interessante per tutta una serie di racconti circostanziati che fanno capire quanto il mondo sia ancora più deteriore della peggiore immagine che se ne possa avere tra traffici sporchi di vario genere e ignoti ai più, soprattutto se, come è vero, due grossi attentati attribuiti ai ceceni, e che hanno fatto centinaia di morti, sono in realtà dovuti ai servizi segreti russi.
Prima di andare, ho letto le interviste a Marina Litvinenko durante il ricovero del marito, dopo la sua morte e in occasione dell'uscita del libro, oltre ai ricordi del loro incontro e del matrimonio. Spesso durante le interviste Marina piangeva, qualche giornalista ha azzardato un gesto di vicinanza umana. Ho visto le foto del marito che hanno fatto il giro del mondo, calvo, svuotato del midollo spinale. E letto ancora della contaminazione di centinaia di persone, di tutta la casa dei Litvinenko, di Marina, del corpo di Aleksandr per i prossimi ventotto anni.
Poi sono andata in albergo, vestita come una Audrey Hepburn con scarpe indiane. Come spesso accade, in questo ambiente ci si abbiglia accuratamente. La traduttrice con il suo twin set marrone e crema, gli orecchini di perle, il medaglione d'argento, il bracciale con i brillanti, il mio collega con il suo completo blu, Marina Litvinenko composta e ineccepibile in blu e argento, Goldfarb in nero, con una maglietta del Sundance festival, in cui un rettangolino rosso si accordava con le stanghette di plastica degli occhiali in montatura d'acciaio, con un effetto cromatico netto e piacevole, accuratissimo e informale. Abbiamo cominciato con una serie di domande caute a Goldfarb, mentre tutta la scena mi comunicava, nella sua compostezza, un'aria di irrealtà, con quell'albergo lindo, i divani bordeaux a motivi di foglie, le sedie in grosse righe colorate, altre poltrone azzurre sullo sfondo, su cui il mio sguardo indugiava, una scena avulsa dal tempo e dal dolore. Prima di cominciare, si parlava con il collega dei treni da Bologna, dove abita, della Fiera del libro d'arte, di registratori e altro, mentre pensavo allo scollamento di tutto questo con i sentimenti delle persone che avevo davanti.
Le ultime domande le abbiamo fatte a Marina. Com'era ora la sua vita, perché aveva deciso di scrivere il libro. Con un senso di pena da parte mia, non riuscivo a guardarla in faccia, non volevo vedere il suo dolore, però l'ho fatto, anche perché lei cercava il mio sguardo. Questa donna si è trovata a lavorare al libro dopo solo un mese dalla morte del marito, costretta a riversare il suo dolore in quelle pagine, e ora non vive che per il figlio. E dopo che il clamore come succede si sarà spento, cosa proverà? Dico quel che provo nel fare quelle domande, il collega mi dice, "io sono più sfacciato". Si fa firmare il libro, lei fa una piega amara con la bocca, io non lo ritengo opportuno. "E ora mi aspetta un'altra intervista", dice il mio collega, e va nell'altra saletta, dove c'è un altro scrittore. Penso alle crudeltà e necessità di questo mestiere, come molti di quelli che fanno sì che le informazioni circolino, e mi interrogo, sull'essere dentro e fuori le cose, e su un modo forse, di vederle da fuori e da dentro.

mercoledì 19 settembre 2007

ramadan mabrouk


Qui per un po' non si riesce a scrivere nulla... e a me pensando al Ramadan il cibo mi è venuto a noia... è magnifico stare a digiuno e sentire il corpo che si disintossica, e perde spessore, diviene meno denso. In Francia, segno eloquente, si diffondono cartoline e cortometraggi virtuali, che si possono visionare qui, e inviare agli amici sul cellulare e per mail.

lunedì 17 settembre 2007

mon interview à Bonnefoy

Qui c'è la mia intervista a Yves Bonnefoy, che tanto mi è piaciuto fare. Avrei voluto che questo breve incontro fosse durato di più, perché Bonnefoy è una di quelle persone che ti danno l'idea che parlare con loro sia altrettanto bello che leggerne l'opera. E visto che ci sono, metto qui un altro estratto da Les planches courbes (trad. italiana Le assi curve, Mondadori).

Ô poésie,
Je ne puis m'empêcher de te nommer
Par ton nom que l'on n'aime plus parmi ceux qui errent
Aujourd'hui dans les ruines de la parole.
Je prends le risque de m'adresser à toi, directement,
Comme dans l'éloquence des époques
Où l'on plaçait, la veille des jours de fête,
Au plus haut des colonnes des grandes salles,
Des guirlandes de feuilles et de fruits.

Je le fais, confiant que la mémoire,
Enseignant ses mots simples à ceux qui cherchent
À faire être le sens malgré l'énigme,
Leur fera déchiffrer, sur ses grandes pages,
Ton nom un et multiple, où bruleront
En silence, un feu clair,
Les serments de leurs doutes et de leurs peurs.
"Regardez, dira–t–elle, dans le seul livre
Qui s'écrive à travers les siècles, voyez croitre
Les signes dans les images. Et les montagnes
Bleuir au lion, pour vous être une terre
Ecoutez la musique qui élucide
De sa flute savante au faite des choses
Le son de la couleur dans ce qui est".

(da Le leurre des mots, p. 130)

giovedì 13 settembre 2007

è Ramadan

Oggi è il primo giorno di Ramadan.Mi piacerebbe tanto andare a una rottura del digiuno, ne ho nostalgia, e poi ad uno dei concerti che si tengono alla medina di Tunisi, nell'oscurità pullulante di persone, le braci con le merguez per strada, gli udun al qadi, le orecchie del giudice, dolci secchi avvolti a spirale che ruscellano miele, ne mangi un pezzo dopo l'altro senza riuscire a smettere.

Discrimination. Does it matter?

L'Unione europea ha predisposto un sondaggio per comprendere la portata dei fenomeni di discriminazione. Eccolo qui.

mercoledì 12 settembre 2007

mon interview à Malkani

ah bene, è uscita la mia intervista a Malkani (qui), peccato che sia una piccola parte della registrazione.

martedì 11 settembre 2007

a proposito di immigrati

La settimana scorsa, andando al festival dell'Unità, sito in una delle zone più tristi di Milano, dove si consumano appetitosi piatti sopra e sotto la plastica, e dove si balla rapinosamente il liscio, ho stupidamente perso il cellulare che avevo in tasca prima di scendere dal vagone della metro. Tanto per provare, abbiamo chiamato il numero. Qualcuno ha risposto. Era un immigrato che abitava a poca distanza, ci ha dato l'indirizzo di casa, e ad un certo punto ha arrestato il nostro profluvio di ringraziamenti con un "basta", presentandosi, stringendoci la mano e dicendo "io sono filippino, siamo brave persone, ditelo".
Nei giorni scorsi ho assistito, nel panorama mediatico di carta e di pixel, e con un crescente senso di amarezza e desolazione, al montare di un'ondata xenofoba originata da un episodio risibile, come quello della "repressione" degli assalti dei lavavetri ai semafori, che per una settimana sembrava essere diventato il nodo politico cruciale in Italia. Ognuno, poi, ha detto la sua. Sotto il nebuloso ombrellone concettuale della "sicurezza nelle città" c'è chi ha dato addosso ai Rom, chi alle prostitute, chi agli albanesi, chi ancora dei graffitari e chi ne ha più ne metta. Sindaci e politici si sono affrettati a rassicurare i cittadini promettendo misure rapide e di natura repressiva.
Ora, se ad alcuni esponenti della parte visibile delle istituzioni politiche, membri dell'esecutivo e sindaci, conviene mostrare il volto feroce per contenere lo scontento, quello che non viene invece detto è che da circa dieci anni in Italia si lavora intensamente per favorire l'integrazione innanzitutto economica, e l'accesso a diritti fondamentali di cittadinanza per gli immigrati, come quello alla salute, all'istruzione, all'alloggio. Si è così riusciti a scongiurare il formarsi di ampie sacche di emarginazione e segregazione come si è verificato in Francia o in Gran Bretagna, rendendo l'Italia per molti versi un paese modello in materia d'immigrazione e ibridazione culturale, grazie anche al fatto che il fenomeno ha cominciato ad essere assiduamente monitorato dopo pochi anni dal suo consolidarsi. A tutto questo hanno contribuito funzionari e impiegati delle amministrazioni, ricercatori,educatori, assistenti sociali, insegnanti, volontari, medici e infermieri, formatori, persone che si sono prodigate perché gli immigrati avessero accesso al lavoro, al cibo, ad un tetto, che avessero di che coprirsi, e che i loro figli andassero a scuola, cominciassero a imparare l'italiano, avessero gli stessi diritti di accesso alla società degli altri, acquisissero il permesso di soggiorno per motivi umanitari o lo status di rifugiati, predisponendo metodi di educazione interculturale, oppure creando progetti di formazione nei paesi di accoglienza, o ancora lavorando nelle carceri o prendendosi cura dei minori non accompagnati. Persone che come me hanno accettato cifre risibili per fare ricerca sulle relazioni tra società ospite e immigrati, per capire come intervenire meglio, oppure si sono introdotte nel mondo dell'illegalità per capire cosa succedesse. Un piccolo esercito di persone che hanno costruito, giorno dopo giorno e in modo impercettibile, la pace sociale. Questo soprattutto al nord, anche in seno ad amministrazioni di centrodestra, dove gli immigrati fanno molto comodo perché lavorano in settori dove altrimenti ci sarebbe il deserto: cantieri, mansioni operaie specializzate e generiche, assistenza a bambini ed anziani, lavoro domestico. Questa gente ci sta aiutando e ci è utile, molto, e non bisogna dimenticare che se viene qui è perché è spinta dal bisogno, perché una famiglia intera ha investito su di loro. Se lavorano clandestinamente, i primi responsabili sono i loro datori di lavoro. Devono aiutare le famiglie, e lo fanno ad ogni costo, anche di dormire per strada. Se non trovano lavoro spacciano o ricettano, e poi contribuiscono allo sviluppo di zone depresse dei loro paesi, come succede ad esempio con la regione marocchina di Beni Mellal. Solo che tutto questo quasi non compare sui giornali. La scelta repressiva non è solo quindi contraria alle posizioni etiche dei molti che lavorano per l'integrazione, ma anche pragmaticamente errata, perché apporterebbe solo disagi, conflitti e creerebbe o aggraverebbe le condizioni che dice di voler eliminare. Questo, senza presunzione alcuna, è un parere a cui credo di poter conferire l'autorevolezza della competenza professionale di cui dispongo.
Ho sentito molti in questi giorni esprimere pareri basati su opinioni del tutto personali, e fumosi discorsi mediatici e politici, spesso in malafede e totalmente scollati dallo stato delle cose, senza confrontarsi con quanto è stato verificato e scritto da persone che si occupano in modo assiduo di seguire il fenomeno. Credo che chi abbia voglia di comprenderlo seriamente abbia a disposizione una vasta scelta di titoli per capire realmente quale sia la situazione migratoria in Italia, come vi si sta facendo fronte, e quali sfaccettate e sfumature possano assumere i discorsi stigmatizzanti. Altrimenti sono solo asserzioni vuote di quella sostanza che è data da una disamina complessa e dal confronto con analisi consolidate, come spesso succede nelle manifestazioni di pregiudizio (cioè opinioni che si formano senza elementi per il giudizio), e che possono tuttavia condurre anche se in via indiretta al conflitto sociale. D'altra parte, come aspettarsi una riflessione più pacata da parte dei cittadini quando un Giuliano Amato si consente di bollare dei seri tentativi di riflessione come "sociologia da strapazzo"? Oltre che alla stigmatizzazione in blocco degli stranieri siamo arrivati dunque anche a quella del pensiero?

venerdì 7 settembre 2007

Londonstani

Gautam Malkani è minuto, l'aria gentile, e nonostante sia stanco si spende generosamente per spiegare la natura delle relazioni etniche a Londra, la subcultura hip hop dei giovani British Asians. Mi fa pensare a Jas, l'io narrante del suo libro, un adolescente quasi giunto a maggiore età, timido e studioso, che viene "adottato" da una crew di giovani gangsta, il cui capo, Harjit, è un muscolosissimo sikh che pratica quattro arti marziali. I suoi amici, Gautam li ha intervistati, poi da queste interviste è venuta fuori la tesi di laurea in Scienze Politiche a Cambridge, e infine l'idea di scrivere un romanzo, perché troppo rimaneva fuori. Eppure è modesto, del libro, della macchina narrativa, non gli interessa raccontare, gli preme descrivere una realtà, gli occhi lievemente febbricitanti per questo. Mi interessa molto questo tipo di scrittori ben preparati dal punto di vista concettuale, che non pongono cesure nette tra analisi e narrazione, due componenti che si rafforzano reciprocamente, con la narrazione che ne trae forza descrittiva ed evocativa. Londonstani andrebbe letto in inglese, uno slang serratissimo infarcito dei termini hindi, punjabi e urdu che i giovani British Asians hanno recuperato. La traduzione, purtroppo e necessariamente, non può rendergli giustizia. Leggerlo è veramente arduo, ma ne vale la pena per chi può. Io ho cominciato in inglese, ho proseguito in italiano per sveltirne la lettura in vista dell'intervista, e ora finirò in inglese. E' veramente gentile Gautam, alla fine dice a me e anche al traduttore, un insegnante di storia e filosofia che fa il volontario al Festivaletteratura da quattro anni, di farci dare il suo indirizzo, e di andarlo a trovare se passiamo da Londra. Continua a vivere a Hounslow, il sobborgo di Londra solcato dagli aerei che fanno base a Heathrow. Spero che rimanga così, che il successo non lo corrompa. Una figura, del libro, mi piace ricordare, in questi tristi giorni di compatti e trasversali sollevamenti xenofobi nutriti di slogan che sostituiscono i ragionamenti, tesi a eliminare qualsiasi marginalità, qualsiasi forma di contestazione al potere, qualsiasi pratica che disturbi un'idea di ordine sociale, non fosse che con la sua visibilità. Perché a me sembra che questo, soprattutto, si voglia eliminare, la visibilità dei marginali. La lezione di Mary Douglas è ancora pienamente valida. Il disordine, vale a dire ciò che non è classificato,che è appunto fuori dai confini, fuori dai margini, è avvertito come pericolo. E dunque, che si ristabilisca la purezza, e con essa l'ordine. Penso alle due prostitute rumene uccise, fatte a pezzi, di cui si è data notizia oggi, agli zingari sgomberati ieri a Milano, i bambini che frequentavano la scuola, e ora? La figura, dicevo, di Mister Ashwood, ex insegnante dei ragazzi della crew, pervaso ancora da una indomabile spinta all'impegno sociale, le pareti tappezzate di foto degli alunni della sua scuola, e che cerca di far di tutto, anche quando sono diventati dei teppisti, anche quando lo insultano, per far capire loro che possono arrivare da qualche parte solo impegnandosi nello studio, passando per le istituzioni.

mercoledì 5 settembre 2007

vado a Mantova

Ho cominciato a seguire il Festivaletteratura di Mantova fin dalla prima edizione, mancandone, credo, solo un paio. E devo confessare che ne sono abbastanza sazia e stanca per una serie di motivi che non mi dilungo qui ad esporre, senza contare che avrei cose piuttosto importanti da fare e che devo posporre. Spero, una volta che sarò lì, di ritrovare l'incanto delle squisite geometrie architettoniche mantovane, delle piazze perfette, l'effervescenza nell'aria, il piacere del crogiolarsi al tepore del giorno nella piazza del Palazzo ducale. Forse nei prossimi giorni sarò qui, nelle pagine culturali. Lascio intanto una poesia di Yves Bonnefoy, che sarà a Mantova, tratta da Les planches courbes, appena uscito per Mondadori (si può trovare un commento di questo libro qui, dove si potrà anche constatare il livello d'insegnamento della letteratura nei licei in Francia, traendone le dovute conclusioni).

Hier, l'inachevable

Notre vie, ces chemins
Qui nous appellent
Dans la fraîcheur des près
Où de l'eau brille

Nous en voyons errer
Au faîte des arbres
Comme cherche le rêve, dans nos sommeils
Son autre terre

Ils vont, leurs mains sont pleines
D'une poussière d'or,
Ils entreouvrent leurs mains
Et la nuit tombe.

domenica 2 settembre 2007

La marcia del romanzo attraverso la storia

"Da bambino passavo le vacanze nella casa di mio nonno a Calcutta,ed è stato là che ho cominciato a leggere. la casa di mio nonno era un luogo caotico e rumoroso, popolato da un gran numero di zii, zie, cugini e domestici, alcuni bizarri, altri semplicemente eccentrici, ma quasi tutti molto eccitabili. Eppure in quella casa ho imparato sulla lettura più di quanto abbia appreso negli anni di scuola". Così inizia il saggio di Amitav Ghosh, dal titolo citato in alto, contenuto nella recente raccolta di reportages e scritti Circostanze incendiarie, pubblicata di recente da Neri Pozza. Attraverso l'introduzione, che risucchia il lettore in una narrazione familiare, Ghosh racconta, attraverso l'elenco di alcuni libri presenti nella biblioteca domestica, la penetrazione del mondo in casa sua, intrecciando la biografia con un ambito di circolazione globale delle idee. C'erano Il ramo d'oro, le opere di Freud, Marx, Engels, Malinowski, capolavori della letteratura europea ottocentesca e novecentesca, persino Grazia Deledda, tutti i testi dei premi Nobel. Questi, per Ghosh, sono l'espressione di una "letteratura universale, una forma di espressione artistica che dà corpo a differenze di luogo e cultura, emozioni e aspirazioni, ma in modo tale da renderle comunicabili", un modo di tradurre cultura, di rendere concepibili vite immaginate in altri angoli di mondo, in modo da sfuggire al confinamento in un "tetro provincialismo".
Ghosh a questo punto però rileva una contraddizione, e cioè il fatto che i romanzi si fondano su un "mito di parrocchialità", vale a dire il rinchiudersi delle storie attorno a mondi dai confini culturali apparentemente netti e precisi. Una forma che sembra essere favorevole al rafforzamento della rappresentazione simbolica degli Stati nazione mediante una operazione di localizzazione, proprio nel momento in cui questi si dislocano e ampliano con l'acquisizione delle colonie, eliminando però questo spazio esterno, come bene ha messo in rilievo Franco Moretti.
Ghosh ricorda così che scrivere un romanzo, alla stregua di un lavoro di ricerca sociale, è frutto di un lavoro di selezione di elementi che concorre a comporre un quadro apparentemente coerente, e che per percepire l'ambiente circostante "bisogna distanziarsi da esso", compiendo quindi "un gesto di dislocazione", innanzitutto di ordine cognitivo, fuoriuscendo dalla doxa, dalle regole del gioco sociale che hanno apparenza di fatti naturali e taken for granted.
Eppure, proprio Ghosh è stato uno dei primi a spezzare la corrispondenza tra il decentramento cognitivo e la localizzazione narrativa ne Lo schiavo del manoscritto. Oggi i teorici del postcolonialismo caldeggiano la rappresentazione dell'ibridazione culturale. Molte le domande che sorgono intorno a questa tematica. E' giusto, e se sì come fare entrare il globale nel locale, come gli scrittori transnazionali, ad esempio Salman Rushdie o Jumpha Lairi vanno facendo? E' un compito che possono svolgere solo gli scrittori che già sono dentro un'alterità postcoloniale o anche quelli che si sono formati in un luogo più a lungo definito da una coerenza di rappresentazioni localizzanti? E se mettiamo, un italiano decide di aprire un suo romanzo a questi orizzonti, come dovrà attrezzarsi a farlo, senza correre il rischio di cadere in rappresentazioni stereotipate? Il saper guardare alla propria cultura con distacco porta con sé anche un saper guardare l'altro? E ancora, leggere libri di altri luoghi e prospettive culturali basta in sé a fare acquisire una distanza cognitiva? Oppure, perché gli scrittori la acquistano e altri eventualmente no? Quali sono i contesti, quali sono i processi? Porsi domande, ovviamente, significa analizzare una situazione, intravvederne gli spazi lasciati aperti a nuove e forse diverse immissioni di significato, rilevarne la complessità e l'indeterminazione al di là dell'apparente semplicità e completezza che il testo dà l'impressione di avere. Buona domenica, buona settimana, buona rentrée.

giovedì 30 agosto 2007

nuove tags anobii

Oggi dopo un intervallo piuttosto lungo ho ripreso a caricare libri su Anobii, e in spiritu imitatio Seia Montanelli, che è una delle donne più divertenti che conosca, e se fossi un uomo per questo la sposerei (se non fosse che già sta per sposarsi), ho deciso di inserire anche dei libri orribili che le case editrici non si fanno scrupolo di mandarmi, talvolta insistendo pervicacemente perché gli intervisti, ahimè è il caso di dirlo, gli autori che spesso sono autrici (e purtroppo a volte la spuntano pure). Mi sembra giusto vendicarmi visto che i libri mi occupano spazio, le insistenze mi stressano e mi prendono tempo, devo andare ai remainders per sbarazzarmente (non ho il cuore di mandarli al riciclaggio, e preferisco convertirli in sushi), e talvolta lì rifiutano perché non se li fila nessuno nemmeno a metà prezzo, e quindi altro tempo e fatica sprecati etc. etc. Detto questo, le categorie sono: mi è bastata la copertina, cellulosa sprecata, viaggi da sbadiglio, invisi financo ai remainders, noiosissimo dalla prima pagina, un orrore!. I titoli, ci vuole troppo tempo a metterli e non meritano tanta attenzione, chi è curioso andasse a cercarseli su anobii. Sulle categorie, mi sono sforzata di mantenere un linguaggio propre, ma avrebbe potuto e voluto essere molto peggiore. Caricare tali libri su anobii è comunque interessante, perché appare la conferma che nelle librerie virtuali non se li fila proprio quasi nessuno.

lunedì 27 agosto 2007

Esotismi contemporanei

Quest'estate ho portato con me tra gli altri libri questo di cui si vede la copertina a lato, pensando mi aiutasse a capire meglio la zona in cui andavo a soggiornare, dal momento che vi era inserito un articolo sui pescatori di Mahdyia. Taccio titolo del saggio e autore, che mi ha lasciata, se si vuole usare un eufemismo, perplessa, e anche giudizi a parte quello incluso nel titolo, limitandomi a mettere qui un florilegio di frasi a volta accompagnate da un commentino tra parentesi.
L'autore racconta innanzitutto che il pullman ha scaricato il gruppo di ricerca in un hotel, "tipologia villaggio turistico sul mare, secondo un modello universalmente omologato". "Nel periodo che siamo rimasti a Mahdia, uscivamo da un non luogo per tuffarci in quell'universo signififcante che è il luogo Mahdia, per ritornare nel non luogo. Questo esserci e non esserci è forse stata la modalità di interazione che ci ha fatto sentire meglio lo spessore antropologico della realtà che andavamo osservando(in che senso? dov'é l'argomentazione epistemica? a parte il fatto che secondo me il 95% delle persone non si sono mai lette la definizione di nonluogo di Augé e infatti lo usano come il prezzemolo, e che immagino ci fosse del personale locale nell'albergo, ma poi, l'asserzione è provata da quanto segue). Segue il paragrafo "l'incantamento del mondo". Il nostro autore va in una casa di donne con l'interprete. "Le donne chiacchieravano e scherzavano tra loro. Io non capivo, ma in questo chiacchiericcio incomprensibile, sentivo di star bene, a mio agio, in un'atmosfera così intima, fatta di complicità e gaiezza femminili. Un'atmosfera che mi dava un grande senso di serenità e sicurezza (ma l'interprete dov'era? e poi bisogna andare a Mahdia per sentire un'atmosfera di solidarietà femminile? infine, per esperienza, si può dire qualsiasi cosa in tunisino (insulti, commenti su come si spenna il pollo e altre amenità), mentre si proferiscono le più cortesi espressioni francesi). Poi il nostro partecipa ad un matrimonio dove gli sposi vestono all'occidentale ma perché "tendono a conformarsi, proprio per sottolineare l'appartenenza di classe, alla media borghesia occidentale" (ora, già dal 1700 le élites turche impiegavano materiali e stilemi architettonici italiani perché gli piacevano, e molte famiglie hanno alle spalle tre generazioni di matrimoni occidentali, e casomai è il contrario, il ritorno all'islamismo è spesso causato da condizioni di vita materiale molto misera, ma andiamo oltre). "Attorno a un grande tavolo sono sedute giovani donne (sono separate dagli uomini e per questo penso che siano nubili)" (bastava chiedere: nelle circoncisioni e nei matrimoni molto spesso per tradizione i sessi sono separati, se si prova a cambiare settore il minimo che succede è esere presi in giro).Ad un certo momento "le giovani esprimono il loro entusiasmo, lanciando grida acute e cadenzate (effetto ottenuto battendo la lingua sul palato), dirompenti (bella scoperta: si chiama youyou, ed è noto dall'epoca coloniale, almeno). Quella che segue è veramente una perla. "Un grido che esprime la forza di un universo incontaminato, magico, quello femminile, unico e assoluto in un mondo in cui la differenza di genere ha uno spaziotempo inconfondibile". (???? e poi, spaziotempo come se piovesse) "Una giovane del gruppo si alza, va su una piccola pedana di fronte agli sposi, inondati da un fascio di luce abbagliante, e danza. (...) Gli uomini sono lì attoniti, sommersi da quel grido che scava dentro (a chi?), affascinati da quella figura in movimento (la danza è sempre espressione di abilità compartecipata, anche quando a ballare sono uomini e bambine di quattro anni), espressione di un mistero pieno di grazia che non appartiene loro (ed è per questo che spesso nelle feste ci sono inversioni di genere, con uomini che si abbigliano e ballano perfettamente come donne, con frenetici ancheggiamenti etc). "Mi allontano, confusa e inebriata". L'ultima frase notevole è quella relativa ad un pescatore che il nostro autore scorge con un'espressione "vaga, lontana, sognante". Il pescatore in questione racconta del suo deludente ritorno a Mahdia dopo anni passati in Sicilia, dal momento che ha perduto il capitale reinvestito e dovuto smettere di fare il pescatore. Ma, nonostante le affermazioni di prima mano di Salah, il nostro autore conclude "Socchiude gli occhi, avvolti dal fumo che sale dalla sua pipa e, nel pulviscolo del sole che se ne va, torna con la mente in alto mare. Tra tonni e sardine, insieme ai suoi compagni, rivive la buona e cattiva sorte del pescatore. Così, Salah/Salvatore, della vita, ne ritrova il senso"...Mi sa che l'autore, dal nonluogo, cioé secondo la definizione di sito di non relazione, nonmemoria, nonidentità non ne sia mai uscito, troppo preso a registrare l'effetto romantico di un paesaggio muto, tacitato per far posto ad impressioni soggettive, quelle sì, molto confuse (alla fine il giudizio mi è scappato...).

domenica 26 agosto 2007

cineforum domenicale. Inland Empire

Se c'è qualcuno che ha visto Inland Empire di David Lynch e vuole propormi la sua interpretazione della storia sarà calorosamente il benvenuto. Se invece non ve lo siete visto, vedetevelo, quando siete freschi e riposati, dopo aver preso del karkadé o dei mate o del guaranà o masticato delle foglie di coca o qat e soprattutto avete tre ore di tempo a disposizione, che possono diventare il doppio perché basta distrarsi per una scena e si perdono dei collegamenti e si deve rivedere tutto. Anzi, caldeggio caldamente la seconda visione perché poi si capisce molto meglio. La trama, va da sé, è indicibile, anche quella che si capisce per non sciupare il tutto. Ciononostante e purtuttavia è imperdibile, visivamente lussureggiante, magnificamente visionario e perturbante, un capolavoro intellettualfilmico. Scherzi a parte, alla fine l'ho capito, ma non posso dire altro che sembra un'opera di Escher (e anche di altri, ma si capirà vedendolo). E che è perfidamente depistante, tanto anche se lo dico vedendolo non si capirà perché e come. Non dico niente nemmeno a mio marito che si era perso la fine e ora mi sta chiedendo... Laura Dern è semplicemente strabiliante. Spassosissima la parodia della sitcom. Un divano rosso è appropriatissimo alla visione onirosimile, se non ce l'avete metteteci una copertura all'uopo. Buona domenica.

venerdì 24 agosto 2007

per Pegah e gli altri

Qualcuno di voi forse già saprà della storia di Pegah Emambakhsh, l'iraniana che è fuggita dall'Iran dopo la condanna a morte per lapidazione della sua compagna, con l'accusa di "depravazione" in quanto lesbica, e del fatto che in Gran Bretagna attualmente le è stato negato il diritto d'asilo, e la sua espulsione è prevista per il 28 agosto (anche se potrebbe essere rimandata). Io l'ho letto sulla mailing di Migra glb dell'Arci, e ora vedo sul bel blog di Giulia un articolato resoconto delle violazioni dei diritti umani in Iran per quanto concerne persone queer, con un link a Secondo Protocollo per firmare un appello per far accogliere Pegah in Italia. Mi auguro con tutta l'intensità che si può provare in casi come questo che almeno lei ce la possa fare.

e poi c'é il caso di questo gay afgano pubblicato oggi su Repubblica.it e ripreso dalla mailing di glb (ah quanto mi piace questa mailing). Ma DICO, io poi non capisco perché un/una eterosessuale non Schengen si può sposare anche per motivi di convenienza con un italiano e ottenere la cittadinanza e un omosessuale no.

ROMA - Nel suo paese d´origine rischia la vita perché è omosessuale, come Pegah Emambakhsh. Per questo, per non doversi nascondere e vivere la vita che vuole, ha chiesto di poter restare in Italia. In prima istanza la sua richiesta è stata respinta: se lo stesso accadrà in appello Ahmed - il nome è di fantasia - dovrà lasciare immediatamente il nostro paese e tornare in Afghanistan.

È un caso del tutto simile a quello di Pegah Emambakhsh quello che in queste settimane si sta vivendo in una piccola città della Lombardia di cui, per ragioni di riservatezza, non facciamo il nome. Nella pianura padana Ahmed, 24 anni, abita da otto mesi con il suo compagno, che è italiano. I due si sono conosciuti su Internet e poi si sono incontrati per una vacanza in India: al termine del viaggio hanno deciso di restare insieme e tornare in Italia. Qui Ahmed è entrato con un visto turistico, ma poi ha scelto di rimanere per vivere con il compagno. I due hanno inoltrato una richiesta di permesso di soggiorno per motivi umanitari, adducendo come motivo l´omosessualità di Ahmed: in Afghanistan sarebbe punita dal Codice penale con una "lunga pena detentiva" e dalla sharia - che si applica in molte zone - con la morte per lapidazione o impiccagione. La richiesta però è stata respinta dai giudici, che non hanno ritenuto sufficientemente provati i rischi per la vita di Ahmed. La coppia, assistita da un avvocato e dall´associazione GayLib, ha presentato ricorso: se la domanda verrà bocciata la procedura di allontanamento per Ahmed - che è già partita - dovrà essere eseguita immediatamente. È proprio la paura di essere cacciato che spinge Ahmed a parlare per la prima volta pubblicamente della sua storia.

Ahmed, perché vuole restare in Italia?

«Perché voglio vivere con il mio partner. Non avevo mai pensato di venire in Italia prima di incontrare lui, ma ora siamo insieme e vogliamo restarci: questo è l´unico posto per farlo. Non possiamo certo tornare in Afghanistan, ci ucciderebbero e in un altro paese io avrei sempre il problema del permesso di soggiorno».

Perché dice che la ucciderebbero?

«Perché è quello che accade: è un paese islamico e molto tradizionalista. La legge dice che un gay deve essere impiccato. Tutti dicono che l´Afghanistan è diventato un paese democratico: non per i gay».

Come ha vissuto finora in Afghanistan?

«Nascosto. La mia omosessualità è un segreto per tutti. La mia famiglia non lo sa: mio padre è morto e mia madre e mia sorella contano molto sull´aiuto dei parenti. Se loro sapessero che sono gay non le aiuterebbero più. Non ho mai potuto essere quello che sono: a Kabul non ci sono locali per i gay e gli omosessuali si vedono in segreto, fra le paure. Per questo mi sono rivolto a Internet per trovare una persona con cui essere me stesso».

È sicuro di non voler rimanere in Italia per il benessere economico o perché la vita è più sicura qui?

«A Kabul lavoro in un´impresa di costruzioni americana. Non ho problemi di soldi. Amo il mio paese e non voglio abbandonarlo: non chiedo asilo politico perché se lo facessi non potrei più tornare indietro. Se mi concedessero il permesso di soggiorno invece sarei libero di rientrare in Afghanistan e la mia famiglia non saprebbe mai il vero motivo per cui sono qui».

Cosa sanno ora?

«Che sono ospite da amici italiani»

E non sospettano?

«No, non immaginano neanche da lontano. Forse voi italiani non capite quanto possa essere scioccante l´omosessualità in certi paesi: non ci si può neanche pensare».

Ha mai ricevuto minacce perché è gay?

«No, perché nessuno ha mai saputo che sono gay».

È deluso dal "no" alla richiesta di permesso di soggiorno?

«Certo che lo sono. Lo scorso anno c´è stato il caso di un afgano che si è convertito al cristianesimo e per questo rischiava la morte: l´Italia l´ha aiutato. Vorrei solo che si capisse che io rischio di finire come lui: spero che l´Italia aiuti anche me a restare qui e ad essere felice».

giovedì 23 agosto 2007

pictures from Tunisia






Quest'anno non avevo molta voglia di scattare foto. La cosa mi suscitava una certa perplessità e apprensione, fin quando non sono andata a fare una gita in barca al largo di Biserta, in un battello coloratissimo. Dopo, ho ripensato allo stato di attenzione asoluta che mi aveva colto nel fotografare, concentrata sulle immagini che vedevo ancor prima di scattare, e che volevo ottenere, dimentica del tempo che scorreva e delle persone che si muovevano accanto a me, come in una bolla spazio temporale. E mi sono detta che l'ispirazione, quando deve arrivare, arriva, e che ansie e perplessità sono inutili.
Sulla barca, rappresentanti di una Tunisia occidentalizzata, fatta di quelle poche persone che fanno immersione subacquea. Khaled, il capitano, capelli biondi e fluenti, gli occhi azzurri, uno dei pochi tunisini che abbia visto indossare uno slip come costume da bagno invece dei consueti calzoncini, e che a fine giornata stanerà una cernia di quindici chili. Murad, che conduce le immersioni, alto, magro, capelli ricci dalle ciocche bionde e di media lunghezza (quasi tutti i tunisini li portano tagliati a spazzola e cortissimi), che ci racconta in maniera disinvolta delle sue avventure amorose, una ragazza a sera. Una serie di donne che sembrano habituées della barca, dalla pelle bianchissima, tutte in grado di pagare i 60 dinari che servono per il giro più l'immersione, quasi quaranta euro. Qualche francese venuto con amici tunisini, o che vive e lavora in Tunisia, e magari dopo anni non ha ancora imparato una sola parola di tunisino. E Michele, mezzo tedesco, che si è aperto una fabbrica di confezioni tessili, società esentata dalle tasse per quattro anni (poi si cambia nome e ricomincia tutto daccapo), con un socio di maggioranza tunisino come è previsto dalla legge, e milleseicento operai, due o tre case in vari luoghi della Tunisia e due domestiche. E una settimana dopo vado da una mia amica a Sfax, che fa un dottorato in storia dell'alimentazione. Tutte le donne della sua famiglia hanno indossato il velo, cominciano a non mandare più le figlie a scuola. Lei è l'unica a non coprirsi la testa, e le vicine vanno dai parenti e la criticano. E lei non mangia. Per fortuna da settembre sarà a Tunisi. Una nipote disegna abiti in accordo con questa visione dell'Islam e li confeziona per le conoscenti. La casa non ha acqua potabile, a terra il cemento nudo lascia intravedere i cavi dell'elettricità, vi si accede per strade sterrate, come sempre accade in quartieri come questi, dalle case autocostruite. Il cognato è mezzadro, non ha nemmeno un'auto per trasportare i prodotti che coltiva. Suo fratello, una laurea in letteratura araba, munge mucche in mancanza d'altro. Passo una scheda telefonica da cinque dinari (più cinque di bonus) a Fetr, che si illumina e mi ringrazia calorosamente mandandomi un bacio. Poi ci dice, ridendo, l'anno prossimo venite a stare qui, che invece di spendere i soldi in albergo li date a noi. La nipote le chiede di passarle una parte del credito per poter chiamare il fidanzato. Anni luce da Cartagine Dermech, con uno scintillante Monoprix, ristoranti costosi, un caffé sulla cui boiserie risaltano immagini di caffettiere moka e tazze di cappuccino, con scritte in italiano, residenza di molte coppie miste, dalle ville che possono costare quattromila dinari al mese di affitto.

lunedì 30 luglio 2007

sejnane pottery






Nell'accingermi a preparare questa piccola mostra estiva, mi sono resa conto che di specifico sulle ceramiche di Sejnane so veramente poco. So che vengono prodotte principalmente nella zona intorno alla Crumiria, nel nord ovest della Tunisia, zona di frontiera con l'Algeria, e che questo tipo di lavorazione e decorazione ha origine berbera, con parentele anche in Algeria, anche se i berberi in Tunisia si sono in gran parte arabizzati. La ceramica viene prodotta dalle donne, cotta in un forno trogloditico, venduta talvolta lungo la strada. Motivi e colori simili si ritrovano nelle ceramiche fenicio cartaginesi. Da qualche anno le ceramiche di Sejnane, come tutti i tipi di arti tradizionali, cucina inclusa, sono oggetto di poltiche patrimoniali di raccolta, classificazione, catalogazione, musealizzazione. Ad alcune donne sono stati commissionati dei pezzi, poi esposti nei musei. Una di loro ha ricevuto un premio nel corso delle annuali giornate del patrimonio. Le donne quindi cominciano a rendersi conto del possibile valore anche estetico ed economico, e di conseguenza anche del loro, che abitando in zone rurali sono generalmente inserite in un sistema di rapporti di genere tradizionali, con il marito che ha la maggiore autorità e gestisce le economie familiari, tra cui anche i guadagni della moglie. Il loro peso in seno alla famiglia e alla società aumenta.Recentemente anche degli uomini si sono messi a produrre ceramiche, firmandote e messe in commercio a prezzi più alti del consueto, con un dichiarato intento autoriale ed artistico, come nel caso del cavallino. L'oggetto in due pezzi è una cuscussiera, di valore principalmente decorativo. Ci sono poi i due qanoun, piccoli bracieri, uno dei quali ha una base a forma di pesce, simbolo di fortuna. Il qanoun è un magnifico oggetto polifunzionale. Serve a bruciare l'incenso purificatore nei santuari frequentati soprattutto da donne, a farci il tè quando ci si sposta, a grigliare i peperoni verdi piccanti e i pomodori che, tritati finissimi, formeranno la mechouia, un'insalata piccante in abbondante olio, e ancora a cuocervi per un giorno intero e anche più la meloukhia, un'erba che viene trasformata in una densa crema dal penetrante odore, e che viene insaporita con della carne.
Buone vacanze a tutti, e buon distacco a Ingmar Bergman.

sabato 28 luglio 2007

palazzo yacoubian

Ho letto Palazzo Yacoubian in tre giorni. Ieri ho deciso che non mi sarei alzata dalla sedia finché non l'avessi finito. 'Ala al Aswani è un magistrale narratore, che tiene con consumata sapienza le fila delle storie di diversi personaggi, spezzettate in piccoli paragrafi che lasciano il lettore in sospeso, e con la voglia di procedere velocemente e a lungo per saperne di più. E' un fine conoscitore e tracciatore di psicologie, che descrive i suoi personaggi distinguendo la facciata dalla personalità che vi si cela dietro. Personaggi dalle molte facce in realtà, poiché mostrano una personalità dinamica, che muta al variare delle situazioni. E' bravissimo, a mio avviso, a mettersi nei panni di una donna, e anche di un gay, nel senso di descrivere i loro sentimenti, motivare le loro azioni. La diffusa definizione di comédie humaine per questo romanzo mi lascia perplessa. Ricondurre al noto può essere un'operazione di traduzione, un modo di dire che gli altri, per quanto lontani sembrano, sono come noi. Ma può essere anche una riduzione, che non mette in luce le specificità della narrazione. Leggo la citazione di una recensione sulla quarta di copertina, e un vago senso di malessere mi coglie a causa della tipizzazione dei personaggi, quasi una loro ontologizzazione: una prostituta, un terrorista islamico, un giornalista gay...
In realtà quello che al Aswani mette in luce sono una serie di dinamiche e complessi contesti che costituiscono una parte consistente dello sfondo dell'Egitto di oggi.
Per Taha, il "terrorista", è il sistema di stratificazione sociale rigido, penetrabile solo dalla corruzione, a far sì che il ragazzo, figlio dell'umile portiere dell'immobile Yacoubian, si veda rifiutato a causa di questo l'ingresso in polizia. Stanco delle umiliazioni, dell'essere in disparte, trova rifugio come tanti, tantissimi, in un irrigidimento della devozione religiosa, in un sistema di senso che gli dà conforto, lo spinge ad alzare la testa, gli dà le chiavi di accesso ad una critica e contestazione del sistema esistente. Se non si comprende questo, se non si comprende il cocente senso di delusione per le mancate promesse della modernità e della democrazia, non si comprendono i dilaniamenti del mondo arabo contemporaneo, in cui in molti paesi si è intrappolati in un perverso meccanismo. La mancanza di democrazia ha fatto nascere l'islamismo, ma l'islamismo attuale non consente elezioni democratiche, perché queste porterebbero con gran probabilità all'instaurazione di governi islamici letti dalla sharia''. Catturato dalla polizia, torturato e umiliato, Taha si vota alla morte, dopo essere già stato ucciso socialmente, in molti modi.
La storia di Hatim bey, il giornalista gay, è una storia di omofobia e di ipocrisia sociale al tempo stesso. Mostra come due persone, Hatim e il suo amante, passino dall'affetto a un mortale conflitto, per i sensi di colpa del secondo, che gli impediscono di vivere serenamente la sua omosessualità. E mostrano come sia dura la vita di una persona che è costretta a cercarsi amanti occasionali, dai quali viene magari maltrattata e derubata, e tutto il suo fondo di disperazione compresso che alla fine erompe in modo distruttivo.
Ma i personaggi che mi interessano di più sono le due donne, Bouthaina e Su'ad. Bouthaina non è una prostituta, è piuttosto una donna costretta ad accondiscendere alle molestie sessuali, un fenomeno amplissimo e sottaciuto nel mondo arabo. C'è chi me ne ha raccontato qualcosa. Nel mondo dell'insegnamento, del lavoro, capita alle donne con elevatissima frequenza di essere soggette ad avances più o meno velate o insistenti. Bouthaina non è dunque che una vittima di una vastissima ipocrisia sociale, costretta a cedere per far sopravvivere la famiglia, e con l'obliquo beneplacito della madre. Su'ad è una vedova che si sposa con il ricco Hagg Azzam, più recitando la parte della concubina clandestina che della moglie, per mantenere il figlio. Il suo tentativo di riscattarsi e acquisire legittimità cercando di avere un figlio, al quale spetterebbe un riconoscimento ufficiale e parte dell'eredità, viene stroncato con brutalità. Entrambe sono donne costrette a concedersi sessualmente agli uomini, e la sostanza non cambia se nel secondo caso è in forma legale, per questioni di sopravvivenza.
Il romanzo mostra chiaramente l'intreccio tra corruzione, disonestà e ipocrisia religiosa, di cui Hagg Azzam, che vende vestiti islamici e distribuisce carne ai poveri, è un lampante esempio. E dietro il "gran capo" al vertice di un capillare sistema di tangenti non è improbabile che si alluda al Presidente in persona.
Palazzo Yacoubian fornisce il quadro di un'umanità desolante, in cui anche uno storpio può usare la sua infermità per manipolare e imbrogliare, e in cui le persone sembrano poter cambiare solo in peggio. Eppure il finale mostra una sorprendente apertura alla possibilità di riscatto, di amore e poesia, alla possibilità che esistano uomini sensibili e delicati. E non ho raccontato di Zaki bey, che è il personaggio più sorprendente, perché voglio che lo scopra chi legge il libro. E' un caso se Zaki, il personaggio migliore del romanzo, è il discendente di una famiglia dell'entourage beilicale, che rimanda a un'Egitto plurietnico e plurilinguistico, per il quale al Aswani sembra avvertire della nostalgia? Alla storia trovo però due pecche: il non aver fatto accenno alcuno al fenomeno dell'escissione, che sembra riguardi in Egitto una percentuale di donne vicina al novanta per cento. E che si parli in maniera riduttiva del conservatorismo islamico che sembra estendersi in Egitto sempre di più, riconducendolo ad una deriva terroristica, e non mostrandone la penetrazione nel quotidiano. Ciononostante, è sicuramente uno dei migliori libri di narrativa che siano apparsi almeno da due anni a questa parte.

venerdì 27 luglio 2007

anch'io anobii!!

Ieri, mentre compravo libri, mi è balzata alla mente questa idea: li metterò su Anobii. E, nel farlo, ho compreso che presto sarò presa dalla vertigine catalogatoria. Perché, al di là delle minuziose critiche mosse alla biblioteca virtuale, è bello vedere i propri libri allineati lì, disciplinarsi dandosi programmi e scadenze di lettura, gongolare sia quando vedi che i tuoi libri non ce li ha nessuno, sia quando vedi che ce li hanno pochi altri. E poi vedere altri libri. Io quando vado per librerie mi devo contenere. Ieri mi sono fatta un giretto dopo lunghe ore passate in biblioteca, e ho comprato Il Corano in edizione Utet, con traduzione di Gabriele Mandel e testo arabo a fronte (libreria Rizzoli in Galleria), avevo già sia l'edizione originale presa a Tunisi che quella tradotta da Campanini, ma così è più comodo. Sconosciutissimo ad Anobi. Puis, Londonstani in versione originale, un Boris Cyrulnik, teorico della resilience, cioè l'arte di sopravvivere al dolore creando un buon mondo intorno a sé (entrambi in Feltrinelli international), William Blake, Il matrimonio del cielo e dell'inferno, di quella deliziosa collana di piccoli Se che prima o poi esaurirò tutta (lo spacciatore di libri nuovi, inediti e recenti al 50%). Ho rinunciato alla Craveri perché l'edizione tascabile della Civiltà della conversazione proprio non mi piace, e spero di trovare la brossura a metà prezzo in uno dei miei luoghi di spaccio librario; al libro di Kiran Desai in inglese, perché una rapida occhiata mi ha suggerito che non è cosa urgente; a quello di Némirowsky in edizione Folio Gallimard, perché non rientra nei miei interessi del momento, infine alla raccolta di racconti brevi di Edoardo Sanguineti, Smorfie, a metà prezzo, perché devo operare rigorosissime selezioni.
Ovviamente si fornisce ad Anobii una marea di dati per il marketing, dove compri i libri e di che tipo, quali ti piacciono e non e perché, ma per Douglas e Isherwood il consumo è anche un modo per creare cultura, dunque penso che io come molti altri anobizzati possiamo contribuire ad una migliore cultura editoriale e alla politica delle librerie, almeno me lo auguro.
La mia bookshelf virtuale è barbara34, visto il mio disperdermi in varie diramazioni numeriche forse avrei potuto mettere 17, ma porta male.

giovedì 26 luglio 2007

partir, encore

Sono arrivata alla conclusione di Partir, e vi ho trovato, salve le non lievi critiche che che ho già mosso a questo romanzo e altre che ne farò, degli elementi interessanti. Le vicissitudini dei personaggi principali, i due fratelli Azel e Kenza, appaiono motivate da quelle che sono le rappresentazioni e le aspettative di cui la società di accoglienza fa carico al migrante: partire, avere successo e far soldi, tornare da eroi, mai da sconfitti, fondare una famiglia, avere dei figli. E' la radice di un profondo disagio psicologico, per il quale, commenta sconsolatamente l'autore, non vi sarà nessun divano di psicoanalista, perché questa pratica non è nella tradizione culturale degli arabi, e su questo vi sarebbe da dire, ma passo avanti. L'idea della vergogna, del non aver compiuto il percorso ideale prescritto, tormenta Kenza e Azel, portandoli fino ai livelli più bassi dell'esistenza, impedendo loro di fondare una vita costruttiva altrove, di espandere le possibilità del proprio Sé. Vi è quindi una critica profonda e radicale mossa alla staticità della società marocchina, al suo condannare uomini e donne a ruoli prefigurati, talora difficilissimi da indossare.
Eppure, mi chiedo, invece di prefigurare percorsi biografici così catastrofici, perché non parlare di delicati e complessi percorsi di vita in cui si media, cautamente, la tradizione con scelte innovative? Come quelle donne marocchine sposate che partono, loro per prime, certo, una minoranza. O come quella donna che ho intervistato e che, arrivata in Italia, aveva lì conosciuto e sposato un marocchino, e gestiva insieme a lui un bar frequentato soprattutto da compaesani, ce qui pour une femme arabe n'est pas évident, conciliando la tradizione con profondi cambiamenti.
E poi, mi chiedo ancora, è possibile operare una lettura profonda e articolata dei testi sulla migrazione che sia solo teorica, che non derivi dall'essersi addentrati in questi percorsi di vita, e nel dispiegarsi quotidiano delle abitudini, qui e lì, senza aver praticato dunque un'antropologia multilocalizzata? Si può ridurre tutto all'analisi del solo testo, concepito come autonomo? La mia risposta è no, perché qui, come mai, la vita e lo sguardo dell'autore sono profondamente embedded, per usare un termine che rende l'idea, in un ampio contesto storico e culturale.
Torniamo alle notazioni di carattere letterario. La conclusione del romanzo, con le riflessioni che vi si accompagnano, è frutto di un vistoso détournement della trama. Si arriva ad un certo punto del romanzo in cui la madre di Azel e Kenza dovrebbe raggiungerli in Spagna. In seguito questa ipotesi sparisce, scompare nel nulla, Kenza deciderà di rientrare, Azel muore ma a quel punto l'intreccio, con le possibili conseguenze si interrompe, si dissolve. Possibile che nessun editor si sia accorto di questa marchiana incongruenza? E l'autore?
La chiusa, tuttavia, mi piace, la trovo molto poetica, e certamente utopica, vi compare l'immigré anonyme, mi sembra, in fondo, metafora di una condizione umana ampiamente condivsa, e la riporto qui: "Cet homme est celui qu'a été ton père, celui que sera ton fils, celui que fut aussi, il y a bien longtemps, le Prophète Mohammed, nous sommes tous appelés à partir de chez nous, nous entendons tous l'appel du large, l'appel des profondeurs, les voix de l'étranger qui nous habite, le besoin de quitter la terre natale, parce que souvent, elle n'est pas assez riche, assez aimante, assez généreuse pour nous garder auprès d'elle. Alors partons, voguons sur les mers jusu'à l'extinction de la plus petite lumière que porte l'âme d'un être, qu'il soit d'ici ou d'ailleurs, qu'il soit un homme de Bien ou un être égaré possédé par le Mal, nous suivrons cette ultime lumière, si mince, si fine soit–elle, peut–être que d'elle jaillira la beauté du monde, celle qui mettra fin à la douleur du monde".

martedì 24 luglio 2007

disparaître dans la nature

Per diminuire l'imbarazzo della scelta sulla mia biblioteca portatile estiva, ho deciso di leggere a casa D'acque dolci di Fabienne Kanor, storia di immigrazione e seconda generazione antillese, tra madri e padri consunti dalla vita, tentativi di passare inosservate, stirandosi a morte i capelli, déchirure irreparabile tra uomini bianchi che non si può e non si vuole avere, per non ricadere nella trappola coloniale, e uomini neri violenti, ma alla cui attrazione non ci si riesce a sottrarre. Storia che finisce, anzi inizia male, con l'omicidio del proprio amante, dispositivo già utilizzato da Leila Marouane nel Castigo degli ipocriti, e lì molto più simbolicamente truculento. Insomma, vedo la ripetizione di eterne formule e questo mi tedia, come mi sta tediando Partir di Tahar Ben Jelloun, storia amara e nichilista sull'emigrazione, in cui nessuno dei protagonisti arriva da nessuna parte, e tutti alla fine muoiono, in un finale visionario, che è un tipo di stile di cui non riesco ad avvertire il senso. Vorrei qualcosa di meno attendibile da questa letteratura.
Ma quello che volevo dire, è che a p. 50 della Kanor sono piuttosto sobbalzata nel leggere di un'amica di Frida, la protagonista, che "sparisce nella natura" con un uomo che poi la prenderà a cinghiate durante il sesso. Si tratta della traduzione pêle–mêle dell'espressione francese disparaître dans la nature, cioè sparire (anche nel nulla), dissolversi, e quindi anche essere biodegradabili, riciclabili. Cerco su google, nessuno si è mai sognato di usare quest'espressione in italiano. Mi chiedo se si possa tradurre in questo modo per ampliare le possibilità espressive dell'italiano, a me per esempio piace scrivere "che non è senza ricordare" come trasposizione di ce qui n'est pas sans rappeler. Ma la nature no, temo che in italiano non se ne capisca il senso. Voi che ne dite? Quanto a me, dans quelque jour je vais disparaître dans la nature pendant quelque temps, le mie incursioni nel net si diraderanno, fino a sparire in Tunisia, dove a Mahdiya l'anno scorso abbiamo cercato invano un centro Internet, che sembrava sempre essere a cento metri da noi, secondo le indicazioni. Indosserò il mio numero di cellulare tunisino per salutare gli amici e vivrò per un po' in un'altra dimensione. Quindi, chi ha qualcosa da dire ha tempo fino alla fine del mese, altrimenti buone vacanze e ci si rivede, o piuttosto riscrive, al ritorno.
(la foto è stata presa a Kerkenah, e là, veramente si ha l'impressione di perdersi nella natura, chilometri di spiagge brulle, poche case distanziate, silenzio assoluto, forse un giorno racconterò dei miei giorni passati lì, intensi e rivelatori, tra donne).

sabato 21 luglio 2007

Una conclusione Amara

Di solito a me, i libri, mi piace leggerli ad almeno un anno dalla loro uscita, quando luci e clamori non ci sono più, per affrontare un testo a mente sgombera da altre parole, che ne filtrino la lettura. Così è stato per Amara Lakhous, scrittore algerino, dottorando in antropologia almeno all'epoca della pubblicazione del suo libro, che parla un italiano pressoché perfetto. A Torino ho comprato il suo "Scontro di civiltà per un ascensore a Piazza Vittorio" (e/o). Perché volevo capire cosa ne fa un antropologo dei suoi strumenti cognitivi quando scrive un romanzo. E l'ho capito, lentamente, sorprendendomi per l'abilità di depistaggio dello scrittore, per la complessità del testo che si sfoglia capitolo dopo capitolo, strato dopo strato, rivelandosi solo alla fine nella sua pregnanza.
Ora, Lakhous ha vinto un premio Flaiano per questo libro, che è stato molto pubblicizzato come "gaddiano", per il linguaggio e per la cornice polifonica. E io mi chiedo, definire come gaddiano questo libro ci dice qualcosa, tutto su di esso, ci aiuta a comprenderne la specificità, oppure c'è bisogno di altri strumenti, che non siano meramente quelli dell'analisi letteraria, per trarne fuori, comprenderne e comunicarne, la specificità? In effetti, io di linguaggio gaddiano ne ho trovato poco. Poche e scarne parole o espressioni in dialetto, niente a vedere con l'invenzione letteraria di una lingua, anche se per certi versi la struttura del testo, la resa dei personaggi rimandano al Gadda del "Pasticciaccio"
Quello che trovo peculiare di questo romanzo è il suo girare attorno ad una questione focale, avvicinandosi al nucleo come per cerchi concentrici, e allo stesso tempo scendendo in profondità, dalle apparenze superficiali a ciò che di più sepolto vi è nel protagonista, Amedeo. Scoperta che procede di pari passo con la mutazione del registro linguistico, da umoristico a drammatico.
Fin dall'inizio sappiamo che un tale chiamato Amedeo è accusato di omicidio. Ci ragiona su tutta una galleria di condomini che conosce Amedeo, e che tira in ballo al tempo stesso una serie di stereotipi sull'altro e alcuni lampi illuminanti sulla sua storia personale. L'iraniano Parvez, rifugiato, alcoolizzato, che odia la pizza e la pasta, che a suo dire fa ingrassare, e la cui mente va con orgoglio al natìo riso, filo che lo lega strettamente alle sue origini. L'impicciona portiera napoletana Benedetta, piena di stereotipi nei confronti degli stranieri, e devo dire che mi piace che sia una napoletana ad essere razzista, perché sono piuttosto avversa allo stereotipo positivo, quasi da buon selvaggio, del napoletano sempre accogliente e ospitale. Per Benedetta l'assassino è un immigrato. E tutti gli immigrati si confondono in un calderone. Parvez è per lei albanese, mangia gatti e cani, forse il colpevole è proprio lui.
Com'è l'Amedeo che esce fuori dalle descrizioni dei personaggi del condominio? Parla perfettamente l'italiano, senza accento. E' sempre gentile con la portiera, altruista e servizievole con gli altri immigrati, non fa domande inopportune e grossolane sull'Islam. Non si è mai lamentato del cane Valentino, per il quale Elisabetta nutriva un amore morboso, e che è stato barbaramente ucciso da ignoti. E' italiano, sposato con un'italiana,insomma, e non un immigrato, quindi un potenziale criminale. E' l'inquilino migliore del condominio, quello che non parla mai male di nessuno, prova compassione e comprensione per i problemi di tutti. E' un lavoratore, il che lo distingue agli occhi di Antonio Marini, condomino settentrionale, da quei fannulloni che sono gli immigrati, e che comportano in tutto e per tutto come i meridionali. Ama cornetto e cappuccino. E poi, conosce la storia romana, in particolare quella dell'Africa romana, Sant'Agostino e il Vangelo. E qui, la vostra antropologa è caduta in una madornale svista, esclamando vittoriosamente dentro di sé "è tunisino!" e gongolando perché convinta di essere tra le poche che a questo punto capivano l'identità di Amedeo. Perché Sant'Agostino è patrimonializzato dai tunisini, che vi stanno dedicando ultimamente molti studi, e lo menzionano nelle guide turistiche come figlio del paese, a causa del suo lungo soggiorno a Cartagine. La mia convinzione si è rafforzata quando ho letto il riferimento di Amedeo a Giugurta, definito "il nostro grande guerriero", dal momento che in Tunisia si trova il luogo dove il re numida fu sconfitto. I capitoli in cui Amedeo parla in prima persona, esprimendo in un lungo ululato tutto il suo smarrimento di fronte alle situazioni problematiche degli altri, si alternano ai racconti dei condomini. Qui, nell'introduzione della memoria storica, avviene una svolta. Si comincia a conoscere qualcosa dell'identità di Amedeo, che consiste nel suo possesso e nella sua interpretazione di una parte di storia antica, comune agli italiani, ma speculare, perché per lui i romani sono stati dei traditori, che hanno fiaccato Giugurta tenendolo a digiuno di acqua e cibo prima di esporlo al Colosseo. Mi sbagliavo. Perché Sant'Agostino è nato vicino ad Annaba, città algerina di confine rispetto alla Tunisia, e anche il territorio di Giugurta si trovava tra i due paesi.
E in effetti, dopo un po' veniamo a sapere che Amedeo si chiama in realtà Ahmed. Ma in realtà a nessuno interessa addentrarsi nel suo passato e nelle sue origini, nemmeno alla moglie Stefania, per la quale Amedeo è il presente, qualcuno per lei, che si è assimilato per lei, e il resto non la riguarda. Ma questa relazione si fonda, paradossalmente, su un tragico equivoco di tipo orientalista, nel quale Amedeo viene confuso con Rodolfo Valentino, con romantici stereotipi desertici, "misterioso come il Sahara". Una porzione di Oriente inconoscibile, tra stereotipi e assimilazione/fagocitamento. E in fondo, anche Amedeo vuole prendere le distanze dal passato, che si rifà presente nei suoi incubi, e appare dolorosamente solo alla fine, nel racconto del suo amico Abdallah. Il passato di Ahmed si chiama Bàgia, la sua fidanzata algerina, uccisa dai terroristi. Risiede nella nostalgia per il Ramadan, la voce del muezzin, il cuscus, la zlabia, la harira, la voce materna.Amara Lakhous "sfoglia" così, strato dopo strato, l'identità di Ahmed, la cui parte araba non è certo il fondamento roccioso, poiché Ahmed dimostra di poter assimilare altri elementi, arricchendoli, traducendo, attraversando frontiere come un contrabbandiere di beni, e tuttavia è una parte imprescindibile di lui, costitutiva del suo passato, che in fondo a nessuno interessa.E che resta passato che non passa, spada che lo trapassa.
E poi, viene fuori che l'assassina del Gladiatore, vero romano de Roma, era la padrona del cagnolino. Perché, in mezzo a tutti gli immigrati del palazzo, sapiente perfidia dell'autore, era lui quello che pisciava nell'ascensore del condominio, metafora di uno spazio condiviso, stuprando la badante boliviana scambiata per filippina, organizzando combattimenti clandestini di cani.
E io mi sono pentita, di non aver letto prima il libro di Amara Lakhous, variante di 'Umar, Omar, Amor, per poter discutere con lui a Torino di quest'abile storia che prende garbatamente in giro il lettore, rovesciando lo sguardo, prendendo ad oggetto in modo ironico noi, gli italiani. Ma chissà, un giorno forse capiterà. Chi ha letto il suo libro saprà che alla fine c'è la sua mail, amaralakhous@yahoo.it, che mi sembra un gran segno di disponibilità.

martedì 17 luglio 2007

cosa porto sotto l'ombrellone?

Ho cominciato a selezionare un po' di libri da portarmi in vacanza. La scelta era ricca, l'imbarazzo copioso. Ho scartato per il momento tutta una serie di libri sul Mediterraneo e il libro sulla Metis di Detienne e Vernant, lasciandomi guidare dall'ispirazione, dal cuore, dalla coerenza con i luoghi (che in certi casi, come quelli precedenti, ho dovuto però ignorare). Alla fine mi ritrovo con undici libri, nessuno dei quali è una novità, cosa che mi piace, ma mi sembrano troppo per tre settimane di vacanza, nelle quali devo anche lavoricchiare un po' (scadenze, sempre scadenze...). Quali scegliere? Accetto suggerimenti. Li ho divisi in libri per Napoli e libri per la Tunisia.

Libri per Napoli
Enzo Moscato, Occhi gettati e altri racconti, Ubulibri (trascurato da troppo tempo...)
Roberto Saviano, Gomorra, Mondadori (il clima torrido e la densità atmosferica estiva ben vi si addicono)
Fabienne Kanor, D'acque dolci, Morellini (anche se leggere i libri in francese tradotti mi fa venire l'orticaria, ma mio marito me l'ha portato dalla redazione..., e poi è scorrevole e va via veloce ed equilibra testi più impegnativi e 'sta roba d'immigrazione mi piace e me la devo anche leggere)

poesia (che si può leggiucchiare entre les deux endroits)
Nasos Vaghenàs, Vagabondaggi di un non viaggiatore, Crocetti (con testo in greco a fronte, che qualcosa la si capisce ed è molto molto piacevole, e poi ci sono le odi barbare e come si fa a non leggerlo?)
Tahar ben Jelloun, La remonte des cendres, Seuil (con una traduzione in arabo di un altro poeta)

Libri per la Tunisia
Ruth Prawer Jhabvala, East into upper east, Plain tales from New York and New Delhi, Abacus (è l'unico libro di fiction "serio" e proprio non lo posso eliminare, o forse sì)
Marcella Delle Donne, Umberto Melotti, Mediterraneo di là del mare. Tunisia Italia, Ediesse (sono almeno quattro anni che ce l'ho, e poi parla di Mahdiya, irrinunciabile)
Ibn Battuta, Voyages, vol. I, De l'Afrique du Nord à la Mecque, La Dècouverte (anche questo in lista da tempo: e magari mentre sono in TN mi compro anche gli altri due)
Sa Sainteté le Dalai Lama, Le pouvoir de l'esprit. Entretien avec des scientifiques, Fayard (e pure questo lo considero piuttosto improcrastinabile).
Samir Kassir, L'infelicità araba, Einaudi
Alain Didier Veill, Quartier Lacan, Flammarion

Ecco, mentre scrivevo ho deciso di eliminare Moscato, Didier Weill e Kassir, ma Saviano, Battuta e Jhabvala sono piuttosto consistenti, sono veramente molto indecisa, magari Jhabvala è quello meno in tema e quindi scorre meno. Ma quello che resta non è ancora troppo?
Qualcuno ha qualche suggerimento?

(foto di Monsieur Melpì)

film à ne pas rater

  • Come l'ombra, Marina Spada
  • el-Jenna alan, Paradise now, Hany Abu-Assad
  • Il segreto di Esma, Jasmila Zbanic
  • Inland Empire, David Lynch
  • La vita segreta delle parole, Isabelle Coixet
  • Mille miglia lontano, Zhang Ymou
  • Rosetta, Jean-Pierre e Luc Dardenne

letture

  • Amitav Ghosh, circostanze incendiarie, Neri Pozza
  • Aminatta Forna, Le pietre degli avi, Feltrinelli
  • Studio Azzurro. Videoambienti, ambienti sensibili
  • Rick Moody, I rabdomanti, Bompiani
  • Claire Castillon, Veleno, Bompiani
  • Werewere Liking, La memoria amputata, BCD editore
  • Antonio Pascale, La manutenzione degli affetti, Einaudi
  • Simon Ings, Il peso dei numeri, Il Saggiatore

ascolti dalla a alla zebda

  • Aida Nadeem, Out of Baghdad
  • Alessandro Scarlatti, Giovanni Bononcini, "Andate, o miei sospiri"
  • Amine e Hamza M'Rahi, Asfar
  • David Sylvian, Nine horses
  • David Sylvian, tutto
  • Diego Ortiz, Ad Vesperas, Cantar Lontano
  • Domenico Gabrielli, Opera completa per violoncello
  • Emanuela Galli, Gabriele Palomba, Franco Pavan, Languir me fault
  • Eric Truffaz, Mounir Trudi, Face-à-face
  • François Couperin, Leçons de Ténèbres
  • Gianmaria Testa, Extra-muros
  • Henry Purcell, Fantazias, Rose Consort of viols
  • Hildegard von Bingen, Canti estatici
  • J.S. Bach, Soprano Cantatas, Cappella Istropolitana
  • Japan, tutto
  • Marc Antoine Charpentier, Salve Regina
  • Marin Marais, Pièces à deux violes 1686
  • Mario Biondi (essì, Mario Biondi)
  • Paolo Conte, Elegia
  • Ray Lema, Mizila
  • Rose consort of viols, Elizabethan songs and consort music
  • Sonia M'Barek, Tawchih
  • Vengeance du rap tunisien
  • Violent femmes, Violent femmes (purissima goduria)
  • Zebda, Essence ordinaire

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