ritratti # 2
Pur avendo notevolmente apprezzato Erwitt, sono stata però più attratta da "Faccia a faccia. Il nuovo ritratto fotografico", da una parte perché i miei personali interessi fotografici vanno attualmente in una direzione più concettuale, dall'altra perché a queste foto
soggiace una serie di complesse riflessioni sullo status del volto ai nostri giorni, da cui scaturisce una serie di immagini dal valore profondamente simbolico e contestatario. Il retroscena a cui queste foto rispondono è ben spiegato da William Ewing, direttore del Musée de l'Elysée di Losanna, che ha realizzato questa mostra appositamente per Forma. Queste foto rispondono ad altre foto, ad altre condizioni sociali e ad altre tecniche che hanno modificato profondamente il modo stesso di narrare attraverso la fotografia. Esse rispondono a volti modificati, ritoccati essi stessi in primis, per fornirci la rappresentazione di un'assenza di soucis, il contraltare di un benessere materiale e di "vite eccezionali" che consentono la soddisfazione di tutti i desideri, "un efficacissimo serbatoio mentale a cui attingere", dice Ewing (che nel frattempo mi sto chiedendo se sia parente di quel James Ewing che ho conociuto in Tunisia, caruccio e carissimo ragazzo, che tuttavia aveva vinto una prestigiosa borsa Fullbright per realizzare delle insipidissime foto architettoniche).
Oggi il compito della fotografia non è più, o piuttosto non solo, quello di mostrare "il volto del proprio tempo", ma una posizione ben precisa in quel campo di battaglia, posta in gioco di lotte, come direbbe Bourdieu, all'intersezione di scienza, tecnologia, industria, commercio, arte, politica. E così i nuovi fotografi simboleggiano il volto come maschera, lo coprono con uno specchio in modo da dimostrare come questo possa tanto nascondere quanto svelare, lo trasformano in paesaggio con sofisticati programmi di morphing, ne mostrano l'avvicendarsi attraverso il tempo costruendo filmati di pochi minuti fatti di foto auto-scattate quotidianamente nell'arco di sette anni, ne rappresentano il mistero sfocando al massimo l'immagine o giocando con rotoli di tessuto che danno l'illusione di volti. Ho apprezzato molto le foto scattate a volti di persone morte, dolcemente avvolte in bianche lenzuola, i muscoli rilassati, espressioni serene e sorridenti, anche se l'impatto è difficile da reggere. Mi sono piaciute le foto iperrealistiche di ballerine di lap dance, il volto protagonista incontrastato dell'inquadratura, così come molte altre immagini in questa mostra, spogliate dei molti riferimenti culturali del corpo, qualcuno residuo nelle capigliature, l'obiettivo impietoso ne che coglie ogni poro, quasi a volerne investigare la nuda umanità. Così anche altri ritratti di persone prese dalla strada e completamente decontestualizzate, anche nella postura di posa, in modo da ritrarne l'effetto di spiazzamento nel venir meno di ogni ancoraggio noto. Belle anche le foto mostrate sul computer dei soldati morti in Iraq, e prese dal sito del New York Times (che non ho colpevolmente appuntato) in sequenza rapidissima, scomposte in quadratini, quasi a voler ricordare il nesso tra la loro morte e la tecnologia. E poi particolarmente apprezzabili sono i ritratti un po' warholiani di personaggi come Schwarzenegger o Michael Jackson, con spiazzanti inversioni del soma. E le foto iperrealistiche e quasi tridimensionali di Bush, Chirac, Blair, le guace rubizze, i colori violenti, gli occhi gonfi di pianto aggiunto dal fotografo, una specie di ritratto di Dorian Gray, in un certo senso, che mostra le conseguenze del loro disumano agire. Dimenticavo le foto scattate ai travestiti thailandesi, costruzioni così minuziose, con il loro fondotinta, le sopracciglia depilate, le labbra nettamente definite dal trucco, che non capisci se risponda più ad esegeze dei clienti o a un modo di voler costruire la propria identità. Ora vediamo queste immagini come strettamente aderenti al presente, ma anche loro ne costituiscono un documento e ne saranno traccia. Ecco, queste foto mi sono piaciute proprio. Ma non ho preso appunti e la mia Nikon è troppo ingombrante per scattare furtive foto clandestine. Per cui ho rimediato comprando un gioiellino Nokia adatto all'uopo (che canta con voce melodiosa e pura e fa tutto tranne il massaggio thailandese al risveglio), ringraziando in cuor mio il ladro che mi ha spinta a tale acquisto. Quindi tornerò a rifare i miei diligenti compitini quando torno per vedermi le foto di "Genesi" di Salgado. Le didascalie mi è stato impossibile aggiungerle, Iskander è in tilt e sto scrivendo con un Mac G3 che è una vera schiuvazione. Ah, anche questa mostra dura fino al 17 giugno. Chi volesse mostrarmi la sua riconoscenza per cotali pregiate informazioni può chiedere a scelta il mio numero di conto corrente per munifiche donazioni in denaro che spenderò in libri, dvd di Internazionale o di e-mik, vestiti in lino e seta o dischi del Cantar Lontano. Oppure il mio indirizzo per consegnare mozzarelle di bufala, cassate siciliane o anche cannoli, vini passiti siciliani, cioccolata modicana, pesti al pistacchio, marmellata di bergamotto o ficodindia, mostarde mantovane, bottarga intera, ceramica raku anche autoprodotta, anellini da piede e cavigliere da khatakhali. Gradito anche caviale iraniano e come ultima ratio pregiatissimi mp3 quasi introvabili soprattutto arabi e rap francese e frutti di bosco colti a mano. Il dono è bello quando é gratuito, ma la reciprocità non è sgradita. Buon weekend...