partecipo al progetto

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sabato 19 maggio 2007

Torino #3. Di centri e di periferie

Ero oramai piuttosto stremata dall'assistere ai dibattiti lingotteschi quando sono entrata, con molto ritardo, nella Sala Rossa, brandendo un pessimo hot dog alla senape che decisamente strideva con la mia strepitosa giacca di shantung rosso di taglio orientale, per ascoltare Franchini, De Silva, De Cataldo, Di Francia, parlare di periferie. Eh sì, la bouffe lingottesca è atroce ma io svenivo dalla fame. Mentre venivo guardata con perplessità dal costumato pubblico sbranare il mio panino, ho preso queste brevi note: "c'é bisogno di narrare i margini, le periferie, standoci dentro", che non mi ricordo chi l'abbia detto. Si era oramai alla discussione finale, ed è intervenuto Diego de Silva. Ora, da una rapida ricerca su Internet vengo a sapere che De Silva ha anche vinto dei premi per i libri scritti. Mi sto chiedendo se valga la pena dare loro un'occhiata per modificare l'opinione che mi sono fatta di lui, o meglio della sua figura pubblica, sentendolo parlare. Perché De Silva ha cominciato a dire che lui proprio non sopportava la trappanaggine del modo di vestirsi degli abitanti di periferia che volevano fare gli eleganti, e che ora nelle periferie stavano cominciando a sorgere questi bar pezzottati che imitavano il centro, mentre lui aveva nostalgia delle vecchie periferie-periferie, quelle che mostravano tutta la loro perifericità, suppongo. E visto che si parlava di confini beh, mi sembra che a De Silva piacciano belli netti. Ora la sottoscritta, che ha letto con adorazione e assimilato in corpore tutta La distinzione di Bourdieu, ha visto accendersi la lucina (o piuttosto il drappo) di color rosso che indicava il punto di vista sociale da cui veniva pronunciato questo giudizio. E poiché la stanchezza di solito ne fa precipitare l'autocontrollo sugli istinti bellici, è sobbalzata sulla sedia mentre masticava il panino (che ineleganza) esclamando "ma questo è un punto di vista di classe!!". Già, perché chi decide che la periferia "imita" il centro se non qualcuno che parla dal punto di vista del centro?
Alla conclusione del dibattito, finito a tarallucci e vino con uno scambio di lepidezze sui reciproci pregiudizi e stereotipi tra salernitani e napoletani, la Zucconi che moderava il dibattito ha chiesto se ci fossero interventi. Io ero in spirito troppo polemico e ho deciso di non parlare. E poi c'é stato tutto un assembrarsi di scrittori ed editor/i di qua e di là che si salutavano e si scambiavano amabili convenevoli. Mi avvio a scrivere sulla mia lavagnetta mentale "la prossima volta sarò più diplomatica" cento volte, e magari andrò senza panino che fa precipitare il tasso di credibilità. E nel frattempo curiosità mi punge. Ma De Silva, dove abita? A Roma, credo, perché mi è capitato di leggere un suo articolo, di cui ancora mi sfugge dove volesse arrivare, sui napoletani che abitano a Roma e che stanno tutti lì a ciondolare. Meno male che c'é anche De Silva, a Roma, a osservarli.

martedì 15 maggio 2007

Torino #2. Tra esperienza e narrazione

Questo dei confini tra finzione e non finzione, tra narrazione e reportage, che si è svolto domenica a Torino con Francesco Piccolo, Mauro Covacich, Massimo Gramellini è a mio avviso uno dei momenti di incontro più interessanti, anche se non ho seguito presentazioni eclatanti come quella del libro della figlia di Che Guevara o di Vladimir Luxuria. Penso che il contributo degli scrittori che sono intervenuti possa apportare stimolanti motivi di riflessione alla questione. Francesco Piccolo afferma che lo scrittore non fa mai giornalismo, dal momento che il giornalista compie (anche se io non sono d'accordo che ciò accada sempre) un'operazione di oggettività, inserendo nel suo articolo solo i fatti, per poi lasciar decidere al lettore. Lo scrittore, invece, si mette sempre dentro il testo, e qui Piccolo fa riferimento al Truman Capote di "Sangue freddo". Lo scrittore prende dunque posizione. Interessante è inoltre l'idea di una narrazione non definita, che invece di andar dritta al cuore dei fatti prende strade laterali, da una parte cercando di raccontare cose che interessano allo scrittore, dall'altra usando queste cose per arrivare in un altro modo al centro del racconto. Il rapporto tra lo scrittore e la narrazione è di necessità. La tematica da trattare non gli viene assegnata, lo scrittore è mosso dall'esigenza di capire facendo un'esperienza, chi è lo scrittore in seno a quell'esperienza, comprendere il rapporto tra somiglianza e diversità. Il rapporto tra vivere e pensare, dice Piccolo, fa parte della necessità di chi scrive, che pensa "questo mi riguarda", e non può fare a meno di stare dentro le cose.
Interessante anche l'intervento di Covacich, tantopiù in quanto riguardava un'immersione in una dimensione di "alterità" qual'é quella dei portatori di disagi psichici, che per lui ha costituito un'esperienza di limite. Qui Covacich si focalizza sulla curiosità. "Ero famelicamente curioso di quelle persone e di chi stava loro accanto". Covacich traccia una differenza nella resa del testo e nella posizione assunta tra studioso e scrittore. Mentre lo studioso tende a dare una visione esauriente, ha l'impressione di controllare tutto il campo d'indagine, la forza dello scrittore sta a suo avviso nel mostrare i limiti della conoscenza, trovarsi di fronte all'inconoscibilità. La necessità, per Covacich, non nasce solo dal bisogno dello scrittore di informare, ma di trasmettere, di far sentire, cercare le sue sensazioni e condividerle. Il racconto si configura così come l'unico modo di spiegare le proprie sensazioni. Scrivere è "andare nei posti, essere colpiti da cose e facce, ossessionati dal fatto di dover scrivere", e in questo non vi è opposizione, a suo avviso, tra finzione e non-finzione, che confluiscono entrambe a partire da questi elementi in una visione unitaria della letteratura. In un racconto infatti l'esperienza viene trasfigurata in invenzione, il racconto e la scrittura costituiscono uno strumento di conoscenza, lo scrittore diviene un tramite tra mondi e allo stesso tempo la scrittura diviene una esplorazione del Sé. Covacich lancia la provocazione che "forse oggi, in un mondo dove tutto si fa storia e racconto, dove prevale la simulazione e tutto è invenzione, gli scrittori paradossalmente non dovrebbero più scrivere".
Si finisce inevitabilmente a parlare di Roberto Saviano, citando il provocatorio schieramento di Paola Mastrocola per il "Club degli Ippogrifi", cioé il mondo della fantasia e del mito. Gramellini dichiara che a lui non piace la letteratura dell'indignazione, che preferisce un taglio obliquo, l'ironia, lo sguardo straniato, uno sguardo che in un angolo della sala riprende la scena.Piccolo difende la scrittura di Saviano, dicendo che anche in lui è presente un percorso di conoscenza, e un rapporto con la realtà. Ma anche lui non è a favore del racconto dell'indignazione, che è "quello dei giusti, di quelli che hanno già deciso", e preferisce raccontare qualcosa di più problematico, di meno concluso, delle parti oscure. Se nel primo tipo di racconti il lettore si rispecchia e vede in sostanza confermato il suo pensiero, non occupandosi più della realtà, uscendone de-responsabilizzato, nel leggere scrittori che gli mostrano la parte oscura non può più essere deresponsabilizzato, è chiamato ad impegnarsi. Covacich afferma che il libro di Saviano gli è piaciuto molto perché si sente la necessità, perché l'autore ha saputo raccontare delle persone che stanno morendo. E allo stesso tempo dichiara di non schierarsi unicamente a favore del realismo, dal momento che si può far sentire anche attraverso le invenzioni, che queste possono farci capire meglio cosa succede, dirci qualcosa che non sappiamo.
Ora, a parte tutta una serie di riflessioni che queste considerazioni mi hanno fatto venire riguardo alle intersezioni tra la scrittura antropologica e altre forme narrative di scrittura, e sulle modalità e scelte e direzioni della mia scrittura, dal momento che mi interessa cogliere gli aspetti della narrazione in generale, io in questi discorsi ci vedo anche molte cose che riguardano il modo di raccontare nei blog. Chiunque li legge potrà farci le sue riflessioni e magari capire qualcosa di più su cosa lo/la spinge a narrare, a scrivere, intravedendo altri strati del proprio fare e pensare. Una prima conclusione che se ne può trarre (che comporta a sua volta numerose implicazioni), e che sembra quasi scontata, ma che non lo è affatto, è che la narrazione in forma scritta e pubblica diventa una pratica quotidiana.
(la foto: la vedo come un modo di mostrare in immagine il rapporto tra chi viene osservato e chi osserva, che è dentro il campo di osservazione e al tempo stesso non può fare a meno di osservarsi nel suo osservare, né dell'essere osservato, e tutto rientra nel campo della riflessione, e lo specchio come metafora di tutto questo ci sta proprio bene, a mio avviso).

lunedì 14 maggio 2007

Torino #1. Bloggers nella carta del mondo








Les gens d'abord. Questa fiera torinese ha costituito una occasione di incontro per persone che avevano conversato e conversano in Internet e che non si erano talora mai incontrate e che perlopiù si immaginavano diverse da com'erano. Fainberg, ad esempio, io me la immaginavo riccioluta e castana ramata, mentre lei ha i capelli fini fini e tirati indietro, lei mi immaginava bionda. Scrivana me la pensavo più minuta, e ha delle gambe lunghe e sottili. Gian Paolo Serino, instancabile recensore di Satisfiction, me lo figuravo esattamente com'é, per la foto sul sito anche perché l'avevo già incontrato. Flounder, invece, era sicura di avermi incontrata all'Orientale nonostante la ventina di anni passata da allora, e anche la sua mi sembrava una faccia conosciuta. Ho conosciuto William Nessuno regista badrillaurdiano, salutato Adriano Barone, tenutario di un blog fumettistico (ma tanto lui me lo sorbisco già a Milano), rivisto la sulfurea LaMaisa conconsorte, scambiato quattro chiacchiere con Roberto Tossani che dice che la gente meglio litigarci a distanza che da vicino è ancora più fastidiosa con i suoi corpi e odori, ascoltato Giovanni Choukhadarian, critico ipercritico, che mi manda in sollucchero quando legge poesie, che in questo caso erano di Josephine Pace, fresca e aulente poetessa siciliana in boccio, conosciuto Pole Position e Zaritmac che pure loro abitano Milano se ben mi sovvengo, conversato con Alessandra Galetta, prima autrice ad essere pubblicata da Untitl.ed, sull'esigenza di narrare l'esperienza migratoria e le storie di persone ai margini. Molti altri non li ho hélas incontrati perché ero troppo pigra per andare al Litcamp, mentre Nadezhda l'avevo vista a Milano prima di partire. Sfondo di molte di queste conversazioni interbloggheristiche, caratterizzate dal piacere di concretare in carne gli interlocutori di lunghi periodi, e da modalità dirette e confidenziali e prossime di incontro, lo stand di Untitl.ed, crocevia di incontri chiacchierate scambi, caratterizzato tra l'altro da notevole senso estetico e dal fil rouge coloristico, in senso letterale. Convinti supporters della creatura di questo trio di intrepide donne (mancava ancora lei), ci siamo armati tutti di badge Untitl.ed ed io ho deciso di propormi come ragazza-copertina visto che ero vestita in tema. Peccato non aver fotografato il delizioso abbigliamento in abbinamento rosso-ciliegia di Flounder che ho perso di vista nel vaievieni generale. Et enfin, tout se teint...
post post scriptum: un ringraziamento a Giovanni e ad Andrea Cortellessa per avermi aiutata a trovare in traduzione un termine che mi sfuggiva: lallazione.
secondo post al post: in ricordo del nostro incontro, ho regalato alla consorella nella gourmandise Fainberg uno dei portaceneri di cui ho fatto incetta al Meridien. Sopra vi è scritto "Always laugh when you can. It's a cheap medicine". Con un brindisi di rosso spumeggiante liquido questo è l'augurio che rivolgo a tutti i viandanti.e poi, di più... (espressione estorta a g.c.)

film à ne pas rater

  • Come l'ombra, Marina Spada
  • el-Jenna alan, Paradise now, Hany Abu-Assad
  • Il segreto di Esma, Jasmila Zbanic
  • Inland Empire, David Lynch
  • La vita segreta delle parole, Isabelle Coixet
  • Mille miglia lontano, Zhang Ymou
  • Rosetta, Jean-Pierre e Luc Dardenne

letture

  • Amitav Ghosh, circostanze incendiarie, Neri Pozza
  • Aminatta Forna, Le pietre degli avi, Feltrinelli
  • Studio Azzurro. Videoambienti, ambienti sensibili
  • Rick Moody, I rabdomanti, Bompiani
  • Claire Castillon, Veleno, Bompiani
  • Werewere Liking, La memoria amputata, BCD editore
  • Antonio Pascale, La manutenzione degli affetti, Einaudi
  • Simon Ings, Il peso dei numeri, Il Saggiatore

ascolti dalla a alla zebda

  • Aida Nadeem, Out of Baghdad
  • Alessandro Scarlatti, Giovanni Bononcini, "Andate, o miei sospiri"
  • Amine e Hamza M'Rahi, Asfar
  • David Sylvian, Nine horses
  • David Sylvian, tutto
  • Diego Ortiz, Ad Vesperas, Cantar Lontano
  • Domenico Gabrielli, Opera completa per violoncello
  • Emanuela Galli, Gabriele Palomba, Franco Pavan, Languir me fault
  • Eric Truffaz, Mounir Trudi, Face-à-face
  • François Couperin, Leçons de Ténèbres
  • Gianmaria Testa, Extra-muros
  • Henry Purcell, Fantazias, Rose Consort of viols
  • Hildegard von Bingen, Canti estatici
  • J.S. Bach, Soprano Cantatas, Cappella Istropolitana
  • Japan, tutto
  • Marc Antoine Charpentier, Salve Regina
  • Marin Marais, Pièces à deux violes 1686
  • Mario Biondi (essì, Mario Biondi)
  • Paolo Conte, Elegia
  • Ray Lema, Mizila
  • Rose consort of viols, Elizabethan songs and consort music
  • Sonia M'Barek, Tawchih
  • Vengeance du rap tunisien
  • Violent femmes, Violent femmes (purissima goduria)
  • Zebda, Essence ordinaire

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