partir, dahaba
Ho trovato Partir di Tahar ben Jelloun in edizione Folio Gallimard, alla libreria Millefeuilles di La Marsa, dove il proprietario, quando entra un non tunisino, conversa con i suoi visitatori solo in francese, automatismo culturale delle persone beneducate. L'ho comprato, insieme ad un suo libro di poesie, La remonte des cendres (Cérés),con traduzione in arabo a fronte, Sa'dan ar-ramad, di un poeta iracheno, Karin Jihad, e disegni alla china di un altro iracheno, Azzawi Harrouda. Ho comprato anche La pensée islamique contemporaine, di Alain Roussillon (Cérés), e Quartier Lacan di Alain Didier-Weill (Champs Flammarion), sul Lacan psicoanalista.
Ho voluto cominciare a leggere Partir mentre aspettavo, seduta, che la fila all'imbarco del volo per l'Italia si assottigliasse.
Il libro inizia con un piccolo racconto. Mon ami camerounais Flaubert dit "j'arrive" pour partir et "nous sommes ensemble" quand'il quitte quelqu'un. Une façon de conjurer le sort. Quando si è legati a più luoghi, si è sempre condannati a patire lo struggimento per un'assenza.
Al convegno al quale ho partecipato c'erano persone che hanno deciso di investire curiosità e voglia di conoscenza nell'investigazione della vita di persone che hanno lasciato un luogo per un altro. Si è parlato tra l'altro degli harraga, da har, piccante, bruciante, che si dice del peperone verde, il felfel akhdar, e dell' harissa. Sono i migranti che "bruciano" le frontiere e i loro documenti, in una visione mitologica della figura del clandestino.
Molte delle persone convenute lì erano persone di frontiera. Francesi che parlano catalano, marocchini la cui famiglia è sparsa su più continenti, e i cui figli parlano lingue diverse, una tunisina nata in Francia e che studia in Germania, un'italiana che ha deciso di vivere in Tunisia e fa ricerca sui corsi di formazione per aspiranti migranti, e mediazione culturale per le imprese. Un francese che anche lui si occupa delle stesse cose, ma per un'agenzia statale, e ha l'aria di chi se la passa proprio bene.
Al convegno l'etichettatura di "immigrati" è stata contestata, e si è sostenuto che bisogna sempre più pensare a un mondo di persone in dislocazione. Le persone intervistate da me, come ho riferito nella mia relazione, stanno ponendo le basi per un graduale, minuto sovvertimento delle classificazioni sociali. Persone che vogliono essere considerate innanzitutto esseri umani, persone che hanno voglia di espandere le proprie categorie mentali, di arricchirsi di cognizioni, savoir faire e relazioni nuovi. Persone che traducono culture, gettando ponti tra di esse, costruendo spazi di convivenza.