cronache dal fronte
Ho cominciato un nuovo lavoro quasi per caso. Un'agenzia a cui avevo mandato un curriculum per traduzioni mi ha proposto di fare una sostituzione come interprete al Centro aiuto del Comune di Milano, che si trova in una delle ali laterali della Stazione. E mi sono ritrovata a passare dalle scintillanti teorie postmoderne e postcoloniali sull'ibridità, sulle travelling cultures, sulle contact zones, sull'ecumene globale, sui coups certiani, dalle mie stesse teorie sulla frontiera,ad un fronte, una trincea. Il Centro di aiuto fa fronte alle emergenze basilari. Trovare un posto dove dormire, dove mangiare, dove fare una doccia, un guardaroba per vestirsi. Ti trovi a fare fotocopie di curricula spiegazzati, a cercare un lavoro di pulizia a persone derelitte, che trascorrono la vita tra periodi al dormitorio e notti all'addiaccio. Con marzo, finisce l'emergenza freddo a Milano, e i dormitori chiudono. Pochi restano aperti, ma ci sono liste lunghe, e se non si ha un permesso del comune di Milano non si ha diritto a dormirvi. Oggi, tra gli altri, sono passati: una signora ghanese, che cercava da dormire. Era vestita con dignità, un trolley con le sue cose dentro, ha ottenuto l'indirizzo del dormitorio di viale Ortles su un pezzo di carta, e ha ripiegato con lentissima cura i documenti del suo permesso. Così come ha fatto la ragazza a cui ho fotocopiato il curriculum, quattro righe scarse. Carte che sono tesori. E' passato un richiedente asilo afghano, che cercava un posto per due. Ma prima di domani non potrà fare richiesta all'Ufficio stranieri di via Barabini, zona Corvetto. E per ultima una donna africana, le treccine rosse di henna, venuta in treno da Ascoli Piceno con il suo bambino, perché lì era scaduto il tempo di permanenza al centro di accoglienza, e qualcuno le avrà detto che a Milano poteva trovar posto. Ma non avendo un permesso milanese non ne ha diritto. Abbiamo provato ad indirizzarla alla Casa della carità, in fondo a via Padova. Mentre me ne stavo andando, lei era ancora lì, e alcuni uomini che l'avevano aiutata si sono rivolti a me, sapendo che l'esito della ricerca non era certo, chiedendo senza chiedere. Lavorare in una situazione simile significa tornare a casa la sera sapendo che le persone che hai visto in faccia dormiranno chissà dove, alla deriva. Ho pensato che avrei potuto portarla a casa, e sto ancora lì a chiedermi se avrei potuto farlo. Mi sono avviata a piedi verso casa, e le facciate dei palazzi tremolavano, al supermercato i banchi della frutta fluttuavano, l'apparenza della realtà mi si mostrava in tutta la sua precarietà, e persino i vestiti che avevo addosso mi sembravano un insulto.
20 commenti:
beh auguri per il nuovo lavoro
Post meraviglioso che sottoscrivo parola per parola. Complimenti per il coraggio e l'umanità che trapela dalle tue parole. CORAGGIO.
Non credo che tu dovessi portare a casa tua la signora, perchè ci sarà sempre qualcuno da portare a casa ogni giorno e la tua dimora non può diventare un dormitorio pubblico.
Il coraggio credo stia proprio qui, imparare a gestire il distacco anche quando fa male, anches e rende tutto terribilmente stupido. E' un lavoro che rischia di togliere il giusto senso di leggerezza che la vita, la nostra ci offre. Non fartelo portar via, rischieresti di non essere così utile come sei ora. Un abbraccio grande per la forza che hai.
Sottoscrivo totalmente quello che ha detto sgnapis. Di mio aggiungo che, se ti fai risucchiare, se ti identifichi troppo, paradossalmente riesci ad essere di minore utilità. E' il problema che devono gestire tutti coloro che esercitano professioni, mestieri a contatto diretto con la sofferenza: bisogna identificarsi per ccapre il problema, ma contemporaneamente mantenere una distanz emotiva che consenta di ragionare per essere di aiuto reale. Difficilissimo equilibrio. Un abbraccio :-)
care amiche, grazie per le vostre parole. in realtà non credo ci voglia coraggio, solo imparare, e c'é gente che fa da tanti anni questo mestiere.
poi non so, comincio a farmi domande e tante me ne farò ancora. fino a che punto vogliamo e possiamo dare aiuto? so di alcune infermiere del mangiagalli che hanno ospitato una donna infibulata dopo il parto. forse si può fare, ma sono situazioni difficili da gestire, bisogna essere preparati e anche sapersi difendere talvolta dala rabbia accumulata da queste persone. Una cosa è certa, apprenderò molto da questa esperienza. un abbraccio anche a voi.
antonio, grazie per gli auguri.
Tanto di cappello, io non avrei le palle per un lavoro del genere.
Barbara, chi esercita una professione di cura e di servizio è (o almeno dovrebbe essere) anche preparata psicologicamente. Imparare a gestire le emozioni dovrebbe costituire parte integrante della sua formazione professionale. So che così non sempre è ma so di sicuro che così dovrebbe essere.
Tu, mi sembra di aver capito, fai normalmente un lavoro diverso, che per caso ti ha catapultata a diretto contatto con situazioni di questo tipo. Mi ripeto: il rischio è di farsi risucchiare, non risolvere un bel niente e star male anche tu. Abbi cura di te stessa e non sentirti in colpa per questo.
Ed ora mi taccio, giuro
davide, anche le cose che sembrano apparentemente difficili divengono normali quando ci fai l'abitudine. io piuttosto non riuscirei mai a fare l'infermiera, e anche se sono molto attratta dalla psicoanalisi mi chiedo se saprei ipoteticamente reggere sofferenze che a volte possono anche non trovare sbocco, o trovarlo dopo anni. Io mi limito a dare informazioni di orientamento alla gente, e certo, loro chiedono di più, un sostegno in tutto questo disorientamento.
Gabriella, ho provato sentimenti simili in Tunisia, dove se anche la gente ha un tetto in testa e riesce a mangiare non riesce ad andare oltre questo. In questo lavoro cerco soprattutto di conoscere la realtà nelle sue diversità, che è una delle mie motivazioni principali. Sono affiancata da colleghi educatori con anni di esperienza alle spalle. Che a volte si fanno coinvolgere anche loro, ma hanno sviluppato consistenti barriere difensive. Imparerò sul campo a gestire azioni, reazioni ed emozioni e userò anche questa esperienza per riflettere. Ma non mi posso impedire di sentire né quello che Geertz chiamava un coinvolgimento immaginativo nella vita delle persone, né quello che Unni Wikan chiama risonanza, la comprensione dei sentimenti degli altri, né la compassione.
Comunque grazie per i tuoi consigli, mi commuovono. E' vero, a volte trascuro la cura di me stessa. Grazie mille :-)))
Tanti auguri davvero.
Anche questa e la famosa "vita"...
Aiutare sono anch'io convinto che si possa fare solo con distacco...
Il coinvolgimento emotivo è "pericoloso"
E' quello che ho imparato dopo 30 di insegnamento avendo sempre a che fare in ogni classe con qualche caso di sofferenza umana e sociale piuttosyto grave...
Buona giornata mirco
carte che sono tesori...il domandare senza chiedere...
è un lavoro difficile quello che hai iniziato, un po' di trincea, come hai scritto tu, in bocca al lupo
ciao :)
Yzma
(non mi accetta più come yzmaladolce, boh)
sono rimasta affascinata, senza parole...
chissà, forse stamattina sono passata davanti a quell'ala della stazione.
Avevo pensato di avvisarti, ma...si sa, la fretta! salita in treno mi sono accorta di aver dimenticato a casa il tuo numero!
Il tuo lavoro è sicuramente duro, ma incontrarsi con altre realtà aiuta ad addentrarsi nel territotio dell"Altro", a capirlo, a uscire dai pregiudizi o dai semplici giudizi facili. Continua a scrivere di questa realtà, raccontala a chi come me passa di qui, ci aiuta. Grazie, Giulia
grazie a tutti per i vostri commenti e auguri, veramente, sono commossa :-)))
mirco, c'é di peggio, ho un'amica che lavora allo sportello rifugiati e si ascolta dei racconti da brivido.
Yz, forse blogspot si è accorto che sei un po' perfidella ;-)
nad, ci saranno altre occasioni :-)
Giulia, per mel'autre c'est moi, o moi c'est un autre, ecco perché non riesco a impedirmi di sentirmi coinvolta. comunque sto assimilando rapidamente. continuerò a mettere in forma la mia esperienza raccontandola.
non sapevo mia cara di questa nuova cosa...è un'esperienza forte, sconvolgente e meravigliosa .... tantissimi auguri
spalluzza
querida, ci arrivasti finalmente, da queste parti... :-)
perché sconvolgente? purtroppo a queste cose come altre succede che diventano routine, ma racconterò ancora, baci :-)
è sconvolgente perché l'umanità lo è in tutte le sue manifestazioni.
spalluzza
l'ultimo ad arrivar fu....gamba corta!
spalluzza
spalluzza, chiariscimi il concetto dell'umanità lo è etc. etc., non ho capito l'attributo, sai sono un po' cotta :-))
avevo lasciato un altro post ieri sull'argomento ma.....non cìè! ci riprovo dopo.
spalluzza
dicevo....che l'umanità è sconvolgente quando la si avvicina. quando si conoscono le storie, si toccano le persone, e non solo quelle in difficoltà, credo che sia impossibile non restarne in qualche modo colpiti, coinvolti. quando si conosce la storia di qualcuno alla fine è la propria storia che un poco si modifica per accogliere anche quella storia...
spalluzza
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