che fatica scrivere
Che fatica scrivere, inserire minuscole tessere in un quadro grossolanamente tracciato e che prende lentamente forma, ogni tesserina nella sua collocazione esatta, e tenere a mente tutti gli autori che si sono pronunciati su un concetto come cosmopolitismo o ibridazione, e le diverse accezioni dei concetti, e le possibili implicazioni delle loro affermazioni, e le posizioni degli attori rispetto alle enunciazioni teoriche, cercando di non tralasciare nulla, o perlomeno nulla che sia indispensabile alla trama del disegno tracciato: tessere la trama, ogni tanto scucirla, tagliare, incollare, ricamare. Sto leggendo "Metafora e vita quotidiana" di Lakoff e Johnsons e in questo momento sono quindi estremamente consapevole della connotazione metaforica delle frasi usate per descrivere i concetti: scrittura come mosaico, come stoffa, come disegno, forma in tutti i casi, edificio, struttura in altri. Senza passare per questi termini eideticamente evocativi il nostro pensiero incontrerebbe dei limiti, non arriverebbe a concepire. L'esempio da loro usato della metafora di idee come oggetti e di espressioni linguistiche come contenitori mi sembrano però riduttive e superate, ce ne sono molte altre che costituiscono modelli cognitivi più raffinati, aiutano a "vedere" meglio in cosa consiste il processo creativo che avviene attraverso la scrittura, imbevuta di una visione estetica e talora poetica. E il corpo, i muscoli tesi allo spasimo, la mente tesa allo stesso tempo come un arciere che punta il suo arco sul bersaglio e la freccia che deve andare dritta al punto? E le idee, il testo come un cibo che lievita, come un materiale che va lavorato o impastato? La complessità di una simile attività si può rendere solo con un arazzo di metafore. O con un racconto. Mi ricordo di quando ero piccolissima, e i miei cugini un po' più grandi di me a Ischia, per insegnarmi a colorare bene le immagini, o forse per quel sadismo che è tipico dei cugini più grandi, coloravano le figure lasciandovi dei buchi, e mi chiedevano di colmare alla perfezione quei buchi. Ecco, spesso scrivere me lo raffiguro così, colorare una figura e poi riempire dei buchi. Che poi è metafora ben appropriata per un testo concettuale. Bisogna rafforzarlo, suturare i suoi punti vulnerabili (altre metafore).
9 commenti:
magari qualche piccolo spazio lascialo, per far emergere la tela grezza e far capire che dove il discorso è radicato, come si edifichi su un nulla ipotetico...Mi aspettavo un post culinario e invece...cibo per la mente:D
D, più di tela grezza si tratta di una pila di pancakes (eccoti il cibo!) una spirale a ritroso. Il progetto che lo fonda deriva da anni di ricerca, una tessera dopo l'altra,letture incrociate con dati, la mia stessa esperienza personale, difficile sintetizzare questo lungo processo. se invece ti riferisci al testo qualche accenno lo do. comunque ci saranno altri post culinari ;)
Pfffff pffffff, ho letto l'ultimo post del randolfo, non riesco a trattenermi.... pensa che qualche tempo fa avevo inventato un'arte marziale dal nome koto koto (Con tutte le sue mosse, beninteso), e ora scopro che quella parola esiste :D
era un' analogia non definita.pensavo alla pittura a certi lavori in cui la natura morta o un personaggio emergono con un senso di incompiutezza dal fondo lasciato senza imprimitura, quasi a sottolineare la creazione dalla materia bruta.In un lavoro di sintesi e rielaborazione l'effetto si potrebbe ottenere evidenziando il percorso da una idea data al suo evolversi in altro (cambiare forma? o come direbbe Mario..)
E' il nome, penso più antico, di Kyoto. D
Decano, non capisco il senso della parentesi. Comunque penso che la differenza tra un articolo scientifico e la narrazione in effetti risieda qui, nella tentazione dle suo autore di cercare di tener tutto sotto controllo.
Uhm,uhm..(vero).Buonanotte!
a pensarci bene sì, questo percorso spesso lo traccio, ma partendo da un altro quadro definito (quello che viene chiamato precomprensione). qui procedo verso la dissoluzione di alcune categorie (chiaro no?????).
ma partiamo da presupposti diversi, confrontarli in poche parole è difficile.... beh ho finito di postare e vado a morf(e)izzarmi...
umpf...
sto leggendo delle cose interessantissime di Bhabha sul Piacere del testo di Barthes e su una nozione di indeterminatezza e apertura/incompletezza sorprendentemente simile a quella derridiana, a cui Bhabha si aggancia proprio per parlare di una concezione aperta della teoria, quanto cose, quanto tempo ci vuole per discuterne?
almeno quello di un caffé arabo, tra té alla menta e una chicha al tabacco di mela, il che in tutto fa almeno un'ora e mezza :)...
Posta un commento