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martedì 8 maggio 2007

Generazione Aids


Oggi ho concluso un breve corso di antropologia nell'ambito di una laurea per infermieri, dal titolo troppo complesso da citare, e che trattava di infermieristica transculturale, antropologia medica e mgf. In realtà oggi ho fatto poco, a parte la prova finale. Oggi la parola spettava alle infermiere stesse. Nel corso del mio lavoro ho cercato in modo crescente di effettuare le mie analisi cercando di ottenere la maggiore aderenza possibile tra i modelli teorici da me impiegati e le narrazioni e le azioni dei soggetti di cui investigavo pratiche e rappresentazioni, per arrivare ad un processo di co-costruzione delle conclusioni finali, quando possibile. Ammiro molto D., la caposala di un reparto infettivi, che è stata per me una preziosissima interlocutrice e che trovo una donna forte e ammirevole per la qualità e dedizione del suo lavoro. E' stata una delle prime persone a vivere l'ondata dell'Aids, e dopo aver avuto pazienti tossicodipendenti o viados nessuna cosiddetta differenza ormai ai suoi occhi è più di tanto rilevante o ingestibile.
Ma quello che mi interessa soprattutto raccontare è un fenomeno di cui la maggior parte di noi è all'oscuro, e che è stato l'oggetto del racconto di altre due ammirevoli infermiere del reparto pediatrico. Esiste una generazione di bambini nati da madri sieropositive e contagiati anch'essi dal virus, che dopo l'introduzione delle terapie retrovirali, così come le altre persone affette da questo male, ad un certo punto hanno cessato di morire e hanno cominciato ad avere prospettive di vita la cui lunghezza è ancora difficle da calcolare. Sono vivi, fortunatamente. Ma affetti da tutta una serie di problemi mai seriamente studiati, e per i quali poco si può fare perché si tratta di un fenomeno sommerso, ignorato dai media come dall'opinione comune e altrettanto dalle istituzioni. Questi ragazzi e ragazze arrivano fino all'età di 23 anni, ma continuano ad andare al reparto pediatrico, per raccontarsi alle infermiere che talvolta li hanno seguiti fin dalla nascita. Molti di loro hanno perso la madre o i genitori, sono cresciuti con i nonni. Ad ogni modo spesso odiano i genitori per averli contagiati. Mi è stato raccontato che talvolta vanno a sputare o tirar sassi sulle loro tombe. La qualità delle loro relazioni è molto precaria. Se ne hanno, quando si rompono, i partner li attaccano proprio sulla loro malattia spifferandola quanto più possono. Il loro fisico è plasmato in un modo che non racconterò dai medicinali che assumono, e loro ne soffrono. Spesso sviluppano una forte aggressività, tiranneggiano i familiari. Poiché sono malati e la loro prospettiva di vita è indeterminata, è loro dovuto tutto. Sono arrabbiati per ciò che è capitato loro e spesso scelgono di avere rapporti sessuali non protetti. Le infermiere snocciolano dati allarmanti.Ogni tre famiglie estese, dicono, vi è un membro sieropositivo. Sono tra noi, e, come è per certi versi giusto che sia, non ce ne accorgiamo. Mi raccontano anche di una storia quasi da fiction, quella dell'impiegata di uno studio commerciale che ne ha contagiato tutti i soci, avendo una relazione con ognuno di loro all'insaputa degli altri. Il che comporta che ad ognuno di loro sia sempre dato in ospedale un appuntamento in orari diversi. Chi aiuta questi ragazzi, chi contiene la loro immensa sofferenza, la loro distruttiva rabbia? Le infermiere danno loro il proprio numero di cellulare, ne sono le confidenti, a volte danno consigli persino alle psicologhe. V. in particolare ha una qualità di comunicazione non verbale tale da spingere le persone a raccontarle la loro vita, a diventarle amiche fin dai primissimi momenti del primo incontro, mentre con altre basta l'esitazione di un gesto per chiudere fermamente i loro cuori. V. ha una mano sottile, lunga e nodosa e una stretta d'acciaio. Queste donne devono ogni giorno, tra le altre cose, vedersela con l'arroganza di medici e infermieri, che si permettono ad esempio di sedersi sui tavoli delle infermiere o sulle loro sedie a gambe alzate. R. ne ha intercettato uno che parlava al cellulare raccontando reiteratamente, davanti ad una bambina ricoverata, a intercalari di cazzo e figa, quanto fosse figo in camice su Internet. La bambina sghignazzava, e quando R. l'ha invitato a moderare i toni, lui prima ha continuato a ripetere che non aveva fatto nulla di male, poi ha continuato a insultarla per una buona pezza, anche quando lei si è allontanata. Queste sono le donne che ammiro, le donne al cui fianco voglio impegnarmi, idealmente o fattualmente. Queste sono tra le persone di cui voglio raccontare la storia. Ci sono storie che mi battono in petto, che mi chiedono prepotentemente di uscire. E' un'immagine mentale e una sensazione corporea al tempo stesso che non avevo mai sperimentato, abituata a tenere complesse fila concettuali di analisi e ragionamenti che derivavano ad ogni modo dalla condivisione del mio tempo quotidiano e dall'intessersi di affettività con altre persone. Lì quello che sentivo era più che altro la sensazione di ebbrezza data dalla sensazione della scoperta e dalla velocità del pensiero, dal moltiplicarsi delle connessioni. Mentre mi chiedo cosa mi stia capitando, concludo con il racconto di D., che ha raccontato in modo non privo di spirito di aver messo un preservativo in mano al figlio adolescente perché vi prendesse familiarità. A tutti gli allievi infermieri è stato chiesto di fare il test Hiv con regolare frequenza. Sono questi, loro dicono, gli unici modi per lottare contro la malattia. Ora i bambini di madre sieropositiva diventano negativi ad un anno dalla nascita grazie alle cure prenatali. E' ancora presto per conoscere le evoluzioni del fenomeno. Già dall'anno scorso, quando sono venuta a conoscenza di questi fatti, avverto lo struggimento e l'urgenza che si faccia qualcosa per questa generazione sofferente.

13 commenti:

Anonimo ha detto...

E' dopo aver letto un post così che prendendo in mano un giornale e leggendo la lite tra Rutelli e Fassino o tra la Bindi e Mastella che ti accorgi quanto i nostri politici siano fuori o comunque lontani dalla realtà che dovrebbero amministrare...

Buona giornata!

barbara68 ha detto...

è da molto tempo che ho smesso di leggere di queste cose, mirco, mi limito a leggere i titoli che poi già so, e passo a leggere o fare cose che reputo più proficue. Il tempo a disposizione è poco. ciao :-)

Anonimo ha detto...

ripeto quello che avevo scritto e che non è comparso, in attesa di una riflessione meno....tecnica. dunque la prima cosa è che in italia non si più una campagna informativa sull'AIDS dai tempi del ministro de Lorenzo, mentre ciò viene fatto in tutti gli altri paesi europei, a volte sono campagne molto dure e dirette che hanno l'obiettivo di far mantenere la guardia alta. la situazione italiana mi ricorda una cosa che con l'AIDS non ha nulla a che fare. mia figlia è esentata dalla frequenza dell'ora di religione. fino a qualche anno fa godeva della possibilità di seguire un corso alternativo e la sua scuola organizzò un corso di educazione stradale, chbe i bambini che facevano religione non seguivano...forse perchè protetti dal catechismo. suppongo che valga lo stesso per l'AIDS. la seconda osservazione è che se i figli di madri affette, a loro volta affetti in italia vivono in una condizione difficile, possiamo immaginae cosa stia accadendo in africa dove in molti casi la generazione di mezzo è completamente scomparsa. i nonni allevano i nipoti, e questi non hanno e non avranno mai alcun supporto....
spalluzza

barbara68 ha detto...

Il fatto che tutta questa situazione sia nei fatti ignorata e rimossa nelle sue implicazioni e nello stato presente, salvo strombazzare ogni tanto i risultati della ricerca, è pazzesco, ne sono pietrificata. In altri paesi si fanno studi sul senso del Self tra le persone malate di Aids ad esempio.
ti ricordi Abc Africa, l'hai visto? Magari lì il rispetto tradizionale per gli antenati evita reazioni di rabbia e odio per i genitori, e poi questi bambini in gran parte sono condannati. Anche se spesso sull'Aids si proiettano altri e numerosi conflitti sociali dovuti alle dinamiche di cambiamento. e' come se il pericolo di contagio non esistesse più, fosse sparito, è un fenomeno da repubblica delle banane, da regime dittatoriale, completamente demenziale. E' un inaudito fenomeno di esclusione sociale. Queste persone non esistono perché non viste.

Anonimo ha detto...

no. io credo che sia peggio. nn esistono perchè non si vuole riconoscere la loro esistenza e non si vuole farsi carico del problema, anche solo in termini medici.
spalluzza

Unknown ha detto...

cara,
ti ho letta oggi da Roquentin. Sei brava, il tuo blog è interessantissimo e al più presto ti linko! Volevo dirti, a riguardo di questo post, che purtroppo risulta anche a me che a periodi la disperazione vada causando più comportamenti a rischio che non l'alcool e le droghe. Fate comunque un grandissimo lavoro dove operi, questo post fa trasparire proprio una grande umanità!
Carolina

Anonimo ha detto...

Mi è stato raccontato che talvolta vanno a sputare o tirar sassi sulle loro tombe

Terribile, non tanto come gesto, ma per ciò che sottende...
Hai ragione, si fa troppo poco.
E' un post in cui si sente questo tuo...battere in petto.
Complimenti

Yzma

barbara68 ha detto...

grazie Carolina, la collaborazione con questo ospedale è conclusa per l'anno in corso ma non si sa mai cosa porterà il futuro :-), a presto
grazie anche a te Yzma.
I complimenti mi fanno piacere e mi imbarazzano al tempo stesso. Cerco di scrivere al meglio questo cose in primo luogo per rendere testimonianza di umanità dimenticate e delle persone coraggiose e fantastiche che se ne prendono cura, e nello scrivere come nell'agire "senza perdere la tenerezza", per parafrasare qualcun altro.

Anonimo ha detto...

Vedo con piacere che la lettura del mio blog stimola la tua parte umoristica... il commento su Goya è decisamente carino!!

Buona giornata tutta la giornata!

barbara68 ha detto...

sì Mirco il mio inconscio ha ricominciato ad allenarsi alle battute e tu sei una delle mie palestre preferite, opp, opp, a proposito, sarà un anno che mi son comprata "Il motto di spirito e la relazione con l'inconscio" ma ancora non ho trovato il tempo di leggerlo. cheers :-)))))

meriggio ha detto...

Sono sgomenta. Fai bene a raccontarle, Barbara.
Complimenti per tutto.
P.S.
Condivido pienamente il primo commento di Mirco. E pensare ciò mi fa molta rabbia.

barbara68 ha detto...

E' inutile arrabbiarsi Meriggio, tanto vale usare le stesse energie per fare qualcosa. Perché questa notizia non circola dove dovrebbe (non è certo parlarne qui che cambierà molto le cose)? in realtà credo che manchi un po' dovunque una logica di mobilitazione e creazione di reti. Le persone fanno magnificamente il loro lavoro e magari non pensano a come ampliarne il campo. A complicare il tutto c'é anche l'obbligo del segreto professionale, per questo ho fornito pochi dati concreti. Comunque credo che la lega per la lotta all'Aids prima o poi ci dovrebbe far qualcosa.
passa un buon fine settimana

Anonimo ha detto...

Possibile che il virus dell'Aids abbia cominciato ad esistere negli anni '80 ? Invece: presero un insieme di oltre 30 malattie preesistenti e le chiamarono AIDS. L'Aids non è una malattia contagiosa, non si trasmette con sangue infetto ne' con rapporti sessuali non protetti. Il preservativo permette di non fare figli e di non contrarre le VERE malattie veneree, ma non mette al riparo dall'AIDS. Usare il preservativo e non scambiarsi le siringhe è un mito: se devi prendere l'immunodeficenza (attraverso l'uso di droghe e poi "grazie" alle "amorevoli" cure mediche mediante AZT) te la becchi comunque. Per saperne di più: leggersi le 722 pagine del libro di Duesberg e, molto modestamente, visitare il mio blog
Pandemia 1918
Grazie per l'attenzione
Pandemia 1918

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  • La vita segreta delle parole, Isabelle Coixet
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