a marzo spuntano i film
A marzo Milano si ammanta di film. Uno dei rari pregi di questa città è l'ottima qualità delle programmazioni delle sue cineteche, a cui si aggiunge quella del Centre culturel Français, concepita dall'ottimo Cesare Vergati. Per cui nelle prossime settimane sono previste indigestioni cinematografiche di film veramente difficili da vedere altrimenti. A partire da ieri ho cominciato a recuperare quel che potevo del festival Sguardi altrove, cinema fatto da donne e organizzato da un'associazione con il medesimo nome. Sono andata a vedere "Hope and a little sugar" di Tanuja Chandra, che era anche presente lì, un'aria da persona normale, a dialogare con il pubblico, una cosa che mi piace tanto.
Tanuja Chandra ha trasferito una Bollywood in formato ridotto a New York. Il film dura solo due ore e invece che i classici siparietti di canzoni ce ne sono solo alcuni, piacevolissimi, di banghra. Il conflitto religioso indiano è trasportato a New York, all'ombra dell'undici settembre. Protagonisti sono il giovane fotografo musulmano 'Ali Sadiqi (cognome rassicurante, che, guarda caso, significa amico mio. Diki diki, anti sadiqi, recita una canzoncina tunisina che ho mandato a memoria) e una famiglia di sikh, composta dal patriarcale e imponente colonnello Oberoi, con in testa il classico turbante, il figlio Harry, capello lungo ma niente turbante (e niente male, anche), e la bella Saloni, che si è aperta un negozio di dolci squisiti, pieno di colori e di fiori, che è una metafora della sua stessa personalità. Ali, che da piccolo ha vissuto la violenza degli scontri religiosi, riesce ad entrare in amicizia intima con questa famiglia, ma un brutto giorno dal suo loft può vedere l'impatto degli aerei sulle Twin Towers, là dove lavorava Harry, proprio all'ottantacinquesimo piano, dove l'aereo ha avuto l'impatto. Cela va sans dire, chi erano le persone veramente colpite quel giorno, tutti Wasp? La violenza è cieca e non guarda dove colpisce. Segue il terribile periodo della confusione e del lutto, con il padre che non vuole accettare la verità della scomparsa del figlio, il cui corpo non si ritrova, e comincia a odiare 'Ali il cui rapporto con Saloni si fa sempre più stretto, a partire da un'attrazione repressa quando il marito era ancora vivo. E' resa molto bene la dinamica dell'odio che nasce da passati conflitti vissuti in condizioni da vittima. La violenza del colonnello risveglia quella di 'Ali, che da piccolo, come si vede in un flashback molto ben riuscito che appare parzialmente all'inizio del film e si svela del tutto solo alla fine, aveva perso il fratellino proprio in uno scontro interreligioso. Tutto sembra avviarsi verso un confronto tragico, quando 'Ali e il colonnello si armano entrambi per scontrarsi, ma caso vuole che quest'ultimo venga assalito e pesantemente malmenato da un drappello di razzisti bianchi, mentre il primo decide di rigettare una violenza che non vuole gli appartenga. Il film finisce a tarallucci e vino con riappacificazione generale, genitori di Harry che ritornano in India, Saloni e 'Ali che formano una bella coppia al di là di ogni pregiudizio. Molto diplomaticamente gli induisti non sono proprio chiamati in causa da questa storia, che è un gradevole polpettone che ci ricorda anche di quante componenti diverse sia fatta l'America di oggi e ha il pregio di mostrarcene alcune. Persone il cui linguaggio slitta continuamente tra inglese e hindi, che vestono all'Occidentale e in sari e salwar kameez. Non so perché, ma i polpettoni indiani, scritti e visivi li adoro, forse perché rappresentano la postmodernità in modo semplice e allo stesso tempo nella complessità delle sue articolazioni, se le si sa cogliere. Film riuscito perché coniuga una buona sceneggiatura di tipo americano a una storia indiana, mi suggerisce qualcuno da un'altra stanza.
4 commenti:
Uno degli svantaggi della provincia è che per trovare una sala cinematografica decente devi fare 50-60 chilometri...
Certo, il pomeriggio ho passeggiato per i campi... sono straordinari in questi giorni con questa innatesa primavera
ciao!!!
uno degli svantaggi di milano è che per farti una passeggiata nei campi bisogna farsi cinquanta-sessanta chilometri. se volevi farti invidiare ci sei riuscito :-)
altra fortunata che passeggia per i campi e ha voglia di qualche immersione milanese.
Magari la prossima volta che ci vengo carica di manoscritti mi fermerò un po' di più, una passeggiata a Brera o a Parco Sempione si fa sempre volentieri.
E poi... le librerie! le iniziative! se non avessi più di un buon motivo per restare qui penserei seriamente a un trasferimento.
Buon fine settimana!
benvenuta da queste parti, nadezhda. il problema è che non sempre hai voglia di correre freneticamente tra iniziative, già lavori e spasimi per una semplice e impossibile passeggiata panoramica. domani se fa bel tempo vado a crogiolarmi nei prati a Palestro, che è quello che Milano ha da offrire. Anche io ho cominciato a fare la lettrice di manoscritti da quest'anno. buon fine settimana per i campi :-)
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